giovedì 18 dicembre 2014

Mangiare insetti!

Il solo pensiero di mangiare insetti suscita nella maggior parte degli occidentali un senso di disgusto e la perdita istantanea e prolungata dell'appetito. Ma la notizia che nel 2050 saremo 9 miliardi a scorrazzare su quello che sarà rimasto del pianeta terra, deve indurci a riflettere e a pensare di poter considerare una radicale inversione di tendenza sulle nostre scelte alimentari. Consideriamo che già adesso un terzo delle terre emerse sono dedicate direttamente o indirettamente alla produzione di cibo per l'uomo. Tra qualche anno la pressione antropica raggiungerà livelli tali da mettere in serio pericolo tutti gli ecosistemi terrestri e come dice un famoso detto dei nativi americani, una volta che avremo distrutto tutta la natura non potremo mangiarci i soldi. Quindi, finché siamo in tempo (e non lo so se lo siamo!) cominciamo a prendere in considerazione delle alternative che siano sostenibili per il pianeta. Limitare il consumo di carne sarebbe già un passo avanti, diventare vegetariani? Un bel salto in avanti, ma non tutti sono disposti a rinunciare alle proteine animali. Anche se insieme alle proteine, gli allevamenti intensivi ci forniscono anche un pacchetto completo di sostanze che non sono certo una passeggiata di salute per il nostro organismo (ormoni, sostanze cancerogene, ecc.) oltre ad una incommensurabile devastazione degli ecosistemi. 
Una soluzione al problema ci viene fornita da organismi che stanno un po' più in basso nella piramide alimentare: gli insetti. Da sempre l'uomo si ciba di insetti, certo non tutte le culture hanno sviluppato l'entomofagia come mezzo di sostenimento vitale,  ma centinaia di milioni di persone hanno nella loro dieta una cospicua percentuale di proteine derivanti dal mondo degli insetti. In particolare l'Asia, l'Africa, America del Sud e l'Oceania sono le aree in cui questa pratica ha la maggiore diffusione, possiamo citare le larve del punteruolo rosso che vengono mangiate in Nigeria e Papua Nuova Guinea, oppure il piatto prelibato degli aborigeni australiani costituito da formiche nutrite con il miele, le uova di formica in Messico, le tarantole della cucina cambogiana e venezuelana, le larve di vespa in giappone.
Paese che vai, insetto da mangiare che trovi. Comunque, anche in Italia abbiamo le nostre belle perversioni culinarie, basti pensare al casu martzu, formaggio sardo colonizzato dalle larve della mosca casearia. E non è un caso isolato perché diverse regioni italiane presentano formaggi con lo stesso procedimento biologico di formazione (Emilia Romagna, Calabria, Puglia, Liguria, Friuli, Abruzzo e Piemonte). Senza tralasciare alcune abitudini alimentari consolidate come le lumache e le rane che fanno venire i brividi lungo la schiena a molti. I vantaggi di una transizione verso l'entomofogia per l'ambiente sono tantissimi. Ogni hamburger prodotto comporta la distruzione di 5 mq di foreste, 35 mq per ogni kg di carne, per lo stesso kg di carne sono necessari 15000 litri di acqua (considerando tutto), mentre per produrre lo stesso quantitativo di insetti la quantità di acqua e cibo è infinitamente minore. Il quantitativo di proteine è del tutto rispettabile e paragonabile a quello della carne bovina, pochissimi grassi, alti contenuti in calcio e ferro, senza contare che per produrre un kg di carne dagli insetti servono solo 2 kg di cibo, mentre per produrre lo stesso quantitativo di carne bovina ne servono 8 kg. Gli insetti, poi, sono commestibili mediamente per l'80% della loro massa corporea, mentre di un bovino riusciamo a mangiare appena il 40% del peso. Allevare insetti al posto delle mucche comporterebbe l'impiego di superfici molto ridotte, di pochissima acqua e produrrebbe una frazione ridottissima di gas serra (attualmente il 18% dei gas serra è prodotta dagli animali allevati). Gli insetti sono molto meno vulnerabili alle malattie rispetto ai mammiferi e non sottrarrebbero superfici alle coltivazioni destinate all'alimentazione umana. 
Anche la FAO ha compreso che gli insetti sono una validissima fonte di proteine e in questo documento troverete un'analisi approfondita sulle prospettive future dell'entomofagia a livello mondiale.
Anche a livello domestico è possibile l'autoproduzione di proteine da insetti (siete contenti?), una designer austriaca, Katharina Unger, ha ideato e messo in produzione un sistema di allevamento domestico di larve di mosche soldato (il FARM 432), con il quale si possono allevare le mosche e da un comodo cassettino prelevare alla bisogna le larve da utilizzare nei vostri piatti. Esistono circa 1900 specie conosciute di insetti commestibili e questo numero è destinato a crescere man mano che vengono compiute nuove ricerche; per chi è ancora scettico, sappiate che gli insetti sono già nella vostra dieta, durante i processi di lavorazione dei cibi molto spesso vengono inglobati anche frammenti di insetti, la legislazione italiana non considera questa eventualità perchè, ovviamente, gli insetti non sono nocivi, ma ci sono nazioni che addirittura hanno fissato i limiti della presenza di insetti (o frammenti di essi) nei cibi (ad es. gli Stati Uniti). Per vostra informazione gli alimenti per così dire, più a rischio, sono le farine (e derivati), il cacao, il caffè e le marmellate.
Il tabù alimentare è già stato sdoganato da alcuni cuochi pluristellati come Carlo Cracco, che utilizza larve tritate in alcune sue ricette, oppure Renè Rezdepi che decanta il sapore di pop-corn delle sue formiche fritte. 
Cambiare abitudini alimentari è difficile, ma non impossibile.  Anche in Italia c'è stato un periodo in cui mangiare insetti era considerato normale, Plinio nel suo Naturalis Historia (77 d.c.) descriveva il consumo di una pietanza chiamata Cossus che era composta da un misto di larve di Lucanus cervus o Prionus coriarus (scarafaggi) che venivano allevate in farina e vino proprio per essere mangiate. 
Che aspettate allora?
Buon pranzo a tutti!




martedì 9 dicembre 2014

Una pianta dai mille usi: il Vetiver

Come spesso accade la natura ci viene in aiuto per mitigare gli enormi danni che più o meno scientemente arrechiamo alla nostra terra. Il Chrysopogon zizanioides, meglio noto come Vetiver, è una pianta erbacea originaria dell'India, conosciuta dai più per l'olio essenziale molto odoroso utilizzato in profumeria (basti ricordare che è uno dei componenti del famosissimo Chanel n° 5). Nella mitologia orientale era considerata un’erba dalle proprietà benefiche in grado di togliere l’energia negativa, mentre il suo profumo si credeva fosse capace di scacciare gli spiriti maligni: proprio per questo motivo, per molti secoli, si usava intrecciare radici di vetiver insieme ai filati nella fabbricazione di tappeti e nella costruzione di capanne di paglia (link). 
Cespugli di vetiver
Anche se originaria dell'oriente questa pianta, grazie alla sua versatilità nell'adattamento a condizioni pedoclimatiche estreme, ha ormai carattere ubiquitario ed è coltivata per gli utilizzi più svariati in tutto il globo terracqueo. Il vetiver, contrariamente alla maggior parte delle piante che hanno assunto una diffusione mondiale (ad es. l'ailanto), non è assolutamente infestante, ha una bassa germinabilità, non produce stoloni o rizomi e la sua moltiplicazione avviene, nelle varietà utilizzate, tramite divisione vegetativa. Le meraviglie di questa pianta erbacea cominciano dal suo apparato radicale: lo sviluppo è prevalentemente verticale ed assume dimensioni enormi rispetto alla parte aerea della pianta, pensate che un cespo di vetiver alto 50-70 cm (arriva a 150 cm), può avere una lunghezza delle radici anche pari a 4-5 metri (1:5-1:10 rapporto tra parte aerea e apparato radicale), se poi consideriamo che lo sviluppo è prevalentemente verticale, che le radici sono fittissime e fibrose ed hanno una resistenza media alla trazione paragonabile ad 1/6 di quella di un acciaio di media qualità, riusciamo a comprendere come la prima applicazione pensata per questa meraviglia della natura sia stata il consolidamento dei versanti. Le particolari caratteristiche delle radici la rendono perfetta per questa applicazione ingegneristica, si consideri infatti che le radici sono così sottili che si insinuano tra le rocce frantumate e dislocate creando un reticolo di tenuta che blocca l'ammasso consolidandolo sempre di più man mano che le radici si estendono nel sottosuolo. La conformazione cespitosa del fusto e la sua resistenza alle azioni meccaniche (dovuta alla elevata presenza di silice nelle foglie) fa si che le piante, disposte a siepe, svolgano una funzione mitigante dell'erosione superficiale impedendo il ruscellamento e favorendo l'infiltrazione delle acque. Quindi il risultato è duplice e complementare: il consolidamento del versante e l'abbattimento del ruscellamento superficiale che è una delle cause del dissesto, a questo si aggiunga che favorendo l'infiltrazione il vetiver contribuisce alla conservazione delle risorse idriche. Il costo per realizzare un consolidamento del genere risulta molto inferiore a quello delle tecniche tradizionali e i risultati sono spesso molto più efficaci. Già questa applicazione basterebbe per inserire il vetiver tra i migliori amici dell'uomo e dell'ambiente, ma le risorse di questa piantina sono numerosissime e la seconda che andremo ad analizzare è la capacità di depurazione e bonifica dei terreni e delle acque inquinate. Sono centinaia gli studi e gli esperimenti condotti sulle potenzialità del vetiver nel campo della decontaminazione e della rinaturalizzazione di suoli inquinati, le applicazioni vanno dalla contaminazione industriale (idrocarburi, metalli pesanti, carbone), alla contaminazione in campo agricolo (pesticidi), tutti hanno dato ottimi risultati ed hanno spinto la ricerca ad approfondire le possibilità fornite dal vetiver. Le piante hanno la capacità di resistere ed incorporare nella biomassa quantità straordinarie di Azoto, Fosforo, Potassio, Metalli Pesanti, Idrocarburi che sarebbero letali per ogni altra pianta.
Questa particolarità la rende adatta per la messa in sicurezza ed il progressivo disinquinamento di aree intensamente inquinate. La copertura vegetale permanente che si ottiene, riduce al minimo la volatilità degli inquinanti presenti sul terreno impedendo che questi penetrino nelle vie aeree di chi si trova in aree limitrofe e nella catena alimentare (link).
Impianto di fitodepurazione con piantine di vetiver
Qui di seguito una lista non esaustiva degli altri usi del vetiver in giro per il mondo:
Industria: il vetiver ha un alto contenuto di cellulosa (45,8%) quindi può essere utilizzata per la produzione di carta di buona qualità e cartone. In Thailandia vengono prodotti pannalli isolanti a base di vetiver per l'edilizia. Inoltre, può essere utilizzato per produrre un truciolato di buona qualità.
Energia: dagli scarti del vetiver, attraverso un processo di saccarificazione e fermentazione (SSF tecnique)  si produce etanolo limpido e di buona qualità con una produzione pari al 13% in peso.
Artigianato: per millenni le fibre di questa pianta sono state utilizzate per produrre ceste, contenitori, tappeti, borse, cappelli e persino recipienti per l'acqua (mescolando le fibre di vetiver con l'argilla).
Edilizia: oltre ai pannelli isolanti, le balle di paglia di vetiver sono ottime isolanti e con un'elevata resistenza al fuoco, inoltre, sono totalmente libere da insetti grazie al repellente chimico naturale prodotto dalle sue stesse foglie. Dalla cenere delle foglie si produce un cemento con buone caratteristiche meccaniche. Tradizionalmente in Asia, le foglie venivano impiegate per la costruzione dei tetti. All'interno dei mattoni di argilla prodotti a mano per fabbricare le case in Senegal vengono inserite fibre di vetiver per evitare le lesioni e le rotture durante l'essiccazione.
Alimentari: in India l'essenza di vetiver viene utilizzata per aromatizzare gelati, sciroppi e bevande. La radice viene utilizzata per preparare bevande rinfrescanti.
Medicina: dal vetiver si produce un olio terapeutico utilizzato per bilanciare l'attività delle ghiandole sebacee, come olio emolliente e come rimedio per l'acne oltre che per le rughe e le smagliature. Come infuso è stato dimostrata l'efficacia in molti disturbi di origine nervosa (insonnia, ansia, ecc). Le applicazioni vanno ben oltre quelle descritte: febbre, lombalgie, emicranie, irritabilità di stomaco, cistifellea, diabete, reumatismi fino alla cura dei tumori sono le applicazioni del vetiver nella medicina tradizionale orientale.
Profumeria: l'olio essenziale veniva utilizzato per la produzione di profumi e di fragranze utilizzate nei potpourri, saponi, cere aromatizzate e oli per la pelle. Attualmente, visto l'avvento dei prodotti di sintesi industriale nel campo della profumeria, l'uso della radice di vetiver ha perso parte della sua importanza.
Foraggio: le giovani piantine possono essere utilizzate come foraggio per il bestiame o come cibo negli allevamenti di pesce. Le piante più grandi presentano qualche inconveniente, innanzitutto hanno valori nutritivi più bassi delle altre piante utilizzate come foraggio, inoltre, sono abbastanza dure perché presentano elevati tenori di silice.  A questi elementi negativi fanno da contraltare alcuni aspetti positivi tutt'altro che trascurabili: il contenuto ottimale di carboidrati strutturali e di proteine grezze. La conclusione ovvia è che il vetiver può essere utilizzata come foraggio miscelata con altre piante che ne completino le proprietà nutrizionali.
Coltivazione di funghi: le foglie di questa poliedrica piantina contengono molti composti chimici come la cellulosa, l’emicellulosa, la lignina, proteine grezze, oltre a diversi minerali. Tutto questo rappresenta un ottimo substrato per far crescere i funghi.
Insetticida: è risaputo che questa pianta ha pochissimi nemici. Diversi studi hanno evidenziato che le foglie del vetiver contengono sostanze sgradite agli insetti, acari e ai microrganismi patogeni (ad es. il nootkatone, la stessa sostanza che conferisce aroma e profumo al pompelmo).
Fungicida: per i motivi su esposti la pianta risulta difficilmente attaccabile dai funghi.

Allelopatia: pochissime altre piante riescono a crescere nei pressi di una piantina di vetiver. Il fenomeno per cui una pianta rilascia nel terreno sostanze che inibiscono la crescita e lo sviluppo di piante concorrenti è detto allelopatia o antagonismo radicale e la pianta in questione sfrutta in pieno questa caratteristica. Gli studi eseguiti sono diversi (sulla germinazione dei semi di soia ad es.) e gli scienziati stanno cercando di utilizzare l’olio di vetiver come erbicida naturale.
Infine, non è trascurabile il fatto che questa pianta ha un aspetto gradevole ed è di semplicissima coltivazione, questo ha contribuito alla diffusione del vetiver come pianta ornamentale e con valenza paesaggistica. Una pianta, mille usi diversi, che volete di più?


Amsterdam: una città a misura di ape

Il declino inesorabile delle popolazioni di insetti a livello mondiale viene ormai considerato il prodromo di una vera e propria estinzione...