lunedì 7 novembre 2016

Scusa ma i lombrichi si possono mangiare?

Mi capita spesso di incontrare i bambini per parlargli delle meravigliose abilità dei lombrichi, in questi frangenti mi sento rivolgere le più disparate domande: perché sono così viscidi, ma quanto vivono, quanto mangiano, cosa mangiano e tante altre domande tipiche dell’innata curiosità dei bimbi. Ma questa volta il marmocchio iperattivo, che agitava un povero spaesato lombrico sotto il mio naso, mi ha sottoposto una delicatissima questione, e l'ha fatto con l'ingenuità spiazzante che solo un bambino può avere: “scusa, ma i lombrichi si possono mangiare?”. Un tremito glaciale ha cominciato ad andare su e giù per la mia spina dorsale. E ora che rispondo? Dopo un breve momento di riflessione, soppesando tutti i pro e i contro della mia successiva risposta, ho deciso di dirgli la cruda verità: “non solo si possono mangiare, ma probabilmente tu, un giorno, li mangerai! La faccia del bambino ha cominciato così a contorcersi in una smorfia di ribrezzo e, rimettendo nel suo contenitore il lombrico disorientato dai troppi dondolamenti, si è allontanato bofonchiando qualcosa di irripetibile sulla mia sanità mentale. Pazienza, la reazione era tra i contro soppesati e comunque ci stava tutta, era nell'ordine delle cose. E lo ammetto, la mia risposta era volta anche a provocare nel pargolo una forte reazione emotiva in modo da liberare il piccolo ostaggio disidratato e quasi privo di sensi (il lombrico). Però, in fondo, non sono andato troppo distante da quello che, per forza di cose, sarà il futuro alimentare dell’umanità.

sabato 15 ottobre 2016

Creare una micro farm: intervista a Nicola Savio

Intervista di Permacultura & Transizione a Nicola Savio, creatore di una micro farm come natura comanda, un esempio da seguire:



venerdì 1 luglio 2016

La Chinampa, un esempio di margine.

Il margine di un sistema naturale rappresenta una zona di confine con un altro sistema adiacente, per essere più chiari il margine è generalmente una fascia di transizione in cui si sommano gli effetti e l’energia di due diversi sistemi e per questo motivo diventa molto interessante poter usufruire dei benefici di entrambi. Questo concetto è uno dei principi della permacultura, ma non è un’idea originale, fa parte, invece, di un corredo culturale e sociale molto antico, che è stato intelligentemente ripreso da chi ha poi sviluppato i metodi della permacultura (Bill Mollison). La scala di applicazione del concetto di margine è estremamente variabile: la linea di costa, ad esempio,  è una zona di confine che separa l’area continentale da quella marina, e inteso in questo modo un margine può essere considerato esteso anche per migliaia di chilometri. Alla stessa maniera, però, anche una siepe frangivento di qualche decina di metri può rappresentare una zona di margine per il nostro appezzamento di terra, il passaggio tra un bosco e un pascolo o anche quello tra orto e frutteto. In queste zone di bordo si ritrovano gli elementi di due diversi sistemi, climi diversi che interagiscono, terreni diversi, energie che si sommano e biodiversità che aumenta in modo consistente. Le zone di margine, quindi, sono molto ricche sia dal punto di vista energetico sia per quanto riguarda la disponibilità delle risorse, non è un caso che la maggior parte degli insediamenti umani fin dalla preistoria sia sorto in queste aree (pensiamo agli insediamenti costieri o a quelli ai margini di un bosco). La possibilità di sfruttare le risorse di due ambienti diversi aumentava notevolmente la possibilità di sopravvivenza dell’insediamento e quando per qualche motivo l’uomo è andato a distruggere uno dei due sistemi gli esiti finali sono stati sempre rovinosi.
C’è stato un tempo in cui l’uomo era in armonia con la natura e questo rapporto armonioso è testimoniato dalla storia di tanti popoli e dalle diverse eredità culturali e tecnologiche che ci hanno lasciato e che purtroppo, nella maggior parte dei casi, non abbiamo raccolto. Il sistema Chinampa (da un antico termine meso americano che significa piazza fatta di canne) è un esempio magistrale dell’impiego di questi ambienti di transizione da parte degli Aztechi. Il passaggio tra ambiente lacustre e terraferma è ricchissimo di risorse, ma molto difficile da lavorare e sfruttare, con questo sistema di coltivazione gli aztechi riuscirono invece ad ottimizzare l’utilizzo di queste ricchezze. L’impianto veniva realizzato in questo modo: si sceglieva una parte di lago vicino alla linea di costa in modo che la profondità dell’acqua non fosse eccessiva (1-2 metri) e si creava un recinto rettangolare tramite una fitta palificata. A questo punto l’area isolata veniva riempita con rifiuti organici, legname, sterro, fango, pietrame, sfalci, ecc. espellendo l’acqua attraverso gli spazi presenti tra i tronchi dello sbarramento. La porzione organica utilizzata per il riempimento era molto ricca in elementi nutritivi e decomponendosi, diminuiva di volume, quindi i costruttori aztechi aggiungevano materiale fino a raggiungere una certa stabilità del terreno. Nel frattempo le zone più deboli o più esposte, venivano piantumate con essenze arboree ripariali che ben si adattavano a quell’ambiente di confine e che rinforzavano in modo efficace il bordo esterno della chinampa, in genere veniva utilizzato il salice. La parte interna, una volta terminata la fase di riempimento, si trovava stabilmente a qualche decina di centimetri sopra il livello dell’acqua. La realizzazione del successivo recinto rettangolare avveniva dopo aver lasciato nel mezzo un canale di dimensioni adeguate in modo da renderlo percorribile da piccole canoe.

martedì 24 maggio 2016

La rivolta degli indigeni

” Voi non avete nessun diritto di distruggere il nostro fiume. Le madri di Xingu non lo permetteranno.”
” Abbiamo deciso che la vostra parola non vale niente. La conversazione è finita. Noi, il mebengôre kayapó abbiamo deciso che non vogliamo un solo centesimo dei vostri soldi sporchi.
Non accettiamo una qualsiasi altra diga sul territorio Xingu. Il nostro fiume non ha un prezzo, non è in vendita, il nostro pesce che mangiamo non ha un prezzo, e la felicità dei nostri nipoti non ha prezzo. 
Non potremo mai smettere di combattere.La Xingu è la nostra casa e voi non siete i benvenuti qui.”

Questo è il discorso del capo tribù di Xingu ai rappresentanti delle multinazionali che vogliono acquistare il loro territorio, una fetta incontaminata di foresta amazzonica. Come già successo con i nativi americani, sterminati e rinchiusi nelle riserve fino distruggere completamente la loro identità culturale,  adesso gran parte delle restanti tribù del Brasile, Borneo, ecc. subiscono la pressione delle multinazionali, sempre più assetate di denaro e incuranti della devastazione degli ecosistemi che le loro scellerate azioni provocano. Sono incalcolabili i danni procurati all'intera umanità, quello che era un immenso serbatoio di biodiversità viene ridotto ad un mucchio di cenere per piantare palme da olio, per il legname o per aumentare la superficie dei pascoli. Molti degli attuali prodotti farmaceutici provengono dalle foreste brasiliane, del Borneo e di Sumatra, molti antibiotici sono sintetizzati a partire da componenti naturali presenti in queste zone incontaminate.

mercoledì 11 maggio 2016

Il lombrico d'oro, un premio per buoni sindaci

La sensibilità nei confronti del tema pesticidi diventa sempre più tangibile nell'opinione pubblica e negli amministratori dei comuni italiani. Chi tutela l'ambiente in cui viviamo va incoraggiato e premiato, e per questo motivo esiste un premio, ancora poco conosciuto al grande pubblico, che si chiama lombrico d'oro (proprio per le spiccate virtù in campo ambientale di questo anellide) che premia i sindaci che si sono particolarmente distinti per azioni che vanno a vantaggio dell'ambiente e della salute dei loro concittadini. Hanno aderito all’iniziativa diverse associazioni veronesi riunite nella Campagna stop glyphosate: Aveprobi, COSPE Veneto, FIAB Verona, Fumane Futura, Il Carpino, ISDE Medici per l’Ambiente, Legambiente, Mag, Movimento della decrescita felice, Movimento Nonviolento, Musa Antiqua, Terra Viva, Valpolicella 2000, Verona Polis, WBA, WWF.

 I sindaci premiati per l'anno 2016 sono tre e provengono tutti dal Nord-Est della penisola: la prima vincitrice è Anna Maria Bigon, sindaco di Povegliano Veronese, che è stata la prima della provincia di Verona a decidere ufficialmente di non usare pesticidi chimici sui suoli di proprietà del comune. Un altro lombrico è andato a Sabina Tramonte, sindaco di Cavaion Veronese, che ha promosso incontri di formazione con la popolazione sull’agricoltura biologica e con una delibera ha escluso l'utilizzo di pesticidi sui terreni del comune; ed infine ha vinto il “Lombrico D’Oro” Ulrich Veith, sindaco di Malles, che  prima ha consultato i propri concittadini  tramite un referendum sull'utilizzo dei pesticidi sul territorio comunale e poi, sulla base dei risultati, ha fermato l'utilizzo di questi prodotti sull'intero territorio comunale. Qualcosa si muove! Questa notizia bilancia in qualche modo quella dell'Ispra, che ha trovato il 64% dei campioni  di acqua esaminato durante le sue campagne di analisi contaminato da Glifosato, ma rimane tantissimo da fare, possiamo però sperare che altri sindaci seguano l'esempio di questi tre illuminati e che il premio diventi a carattere nazionale in modo da coinvolgere tutta la penisola. La cosa importante e ricordarsi che tutte le conquiste vengono dal basso, tutte le aziende non hanno a cuore i propri clienti, ma le proprie tasche, però noi proprio colpendo le loro tasche possiamo indirizzare le loro scelte e le loro strategie (come sta succedendo per l'olio di palma), pretendere cibo e acqua non contaminati da pesticidi non è solo un nostro diritto per tutelare la nostra salute e il nostro territorio, ma un dovere nei confronti delle successive generazioni.

domenica 3 aprile 2016

Le tante stranezze e bellezze dell'Armadillidium vulgare (Porcellino di terra).

Certe volte è incredibile come qualcosa che abbiamo sempre sotto gli occhi assuma un significato e un’importanza diversa non appena si approfondisce un po’ la sua conoscenza. Io non potevo certo immaginare che l’Armadillidium vulgare, un simpatico animaletto che spesso vedo in giardino e che tutti noi abbiamo incontrato almeno una volta nelle nostre case potesse essere così interessante e utile per la natura e per l’uomo. Un grande scrittore italiano del 900, Tommaso Landolfi, in un romanzo, ne fa una descrizione non troppo onorevole: lo descrive come un’anima in pena che ama grufolare sotto i mucchi di foglie e nei posti umidi e si chiede cosa porti questo animaletto a entrare nelle nostre case visto che la maggior parte delle volte lo attendono suole di scarpe e insetticidi. Landolfi utilizza il porcellino di terra come figura retorica per descrivere il suo stato d’animo e la sua inquietudine, ma questo non intacca minimamente la reputazione molto positiva che gli scienziati hanno costruito con molti studi in questi ultimi anni. L’animale in questione è anche un compendio di curiosità e stranezze da fare invidia a un film di Tim Burton. 
Per prima cosa è uno dei pochi animali che non ha problemi con l’ammoniaca, quindi non ha bisogno di espellerla tramite le urine (e infatti l’armadillidium non urina). L’ammoniaca viene espulsa in forma gassosa dalla corazza che risulta permeabile a questo gas. Una cosa curiosa è che la maggior parte di quelli che vedono questo animale pensano sia un insetto: errore, è un crostaceo, anzi è il più fulgido esempio di colonizzazione terrestre di questo subphylum (crustacea) che annovera organismi quasi esclusivamente acquatici (di acqua dolce e salata).

mercoledì 23 marzo 2016

Ritorno al Futuro: come trasformare una banana in energia.



Oggi c'è chi usa proprio una buccia di banana per produrre energia.

A dir la verità, oltre alla buccia di banana, usa anche qualche buccia di papaya, un pò di tortillas secca e qualche altro scarto di cucina e con questo "combustibile" ogni giorno, senza effetti speciali, accende il fuoco e fa da mangiare per tutta la famiglia (tre persone).

Dai "combustibili" avete certamente capito che non siamo in Italia; in effetti questa singolare conversione energetica avviene nel Guatemale, nella piccola città di San Juan Alotenango- Sacatepequez .

Dietro a questo racconto c'è l'Università del Guatemala che ha deciso di dare una risposta operativa ai fabbisogni energetici dei villaggi guatemaltechi e in questo paesino ha realizzato le prime quattro cucine a biogas, alimentate dagli scarti di cucina di altrettante famiglie che per prime hanno aderito al progetto.

Il digestore è fatto da una tanca di polietilene da 750 litri con all'interno (capovolta) una tanca di diametro più piccolo, da 450 litri, che funge da gasometro in quanto si alza e si abbassa, in base al biogas prodotto.

La tanca principale contiene 300 litri di letame di mucca sciolti in circa 600 litri di acqua in cui sono stati aggiunti i microorganismi che fanno il piccolo miracolo energetico di trasformare la banana in metano.

Ogni giorno, si raccolgono tutti gli scarti di cucina, circa mezzo litro, si aggiunge 250 centimetri cubi di acqua e con un frullatore si fa una bella pappetta, si aggiungono altri 750 cc di acqua e il tutto si versa nel digestore. Un pari volume di fango digerito (1500 cc, un litro e mezzo) esce dal digestore ed è raccolto con cura perchè è un ottimo fertilizzante da usare nell'attiguo orto.


Quando si deve far da mangiare, si apre la valvola del gas, si accende il fuoco e la famigliola ha disposizione i cento litri di metano che gli servono ogni giorno per cuocere la pasta, prodotto dai 200 grammi di scarti giornalieri che erano stati messi nel digestore qualche decina di giorni prima.

Un primo bilancio di questa esperienza: gli impianti funzionano senza inconvenienti, sulla bolletta del gas le famiglie risparmiano circa 100 dollari all'anno, quindi anche senza gli attuali incentivi, l'impianto si paga dopo due anni e mezzo di attività, visti gli ottimi risultati altre famiglie vogliono passare al biogas autoprodotto.

Ci sono poi i vantaggi ambientali: tutto quello che prima era un rifiuto da smaltire ( l'umido putrescibile) è diventata una risorsa a rifiuti zero; per gli orti non sono più necessari concimi chimici e anche la foresta ringrazia, sia per la minore richiesta di legna da ardere, sia per il minor rischio di incendi; la separazione dell'umido si porta dietro anche la separazione e la raccolta differenziata degli altri scarti, che anche in questi remoti villaggi si comincia a fare.

Unico problema, gli odori per niente gradevoli al momento della prima carica di letame e al momento della produzione del primo biogas. Comunque, passato questa prima fase, neanche questo è più un problema in quanto, a regime, la combustione del biogas è inodore.

Un modello di sviluppo da paesi sotto sviluppati? Vedremo! Quello che vi posso dire è che in India, nei nuovi condomini, nei giardini sotto casa ci sono già biodigestori condominiali che funzionano nello stesso modo. Non è uno sfizio ecologista dei condomini ma le scelte obligatorie del piano regolatore.

Nel 2002 in Cina, India, Egitto si contavano 22 milioni di impianti domestici per la produzione e l'uso di biogas.

A quando nei nostri paesi avanzati e spreconi?

Se qualcuno di voi vuole approfondire l'argomento e magari autocostruirsi o comprare il biodigestore da giardino il sito è www.arti-india.org

mercoledì 20 gennaio 2016

Alla ricerca del magnesio perduto

Il magnesio è indispensabile per numerose attività enzimatiche, infatti è implicato nei meccanismi di regolazione di 300 complessi enzimatici diversi, inoltre è importante per il mantenimento dell'equilibrio elettrolitico ed è di fondamentale importanza per la normale funzione neuromuscolare. I sintomi più comuni da deficit di magnesio sono: affaticamento, debolezza, tremori, confusione mentale, irritabilità, insonnia, disturbi cardiaci, disturbi della conduzione nervosa e della contrazione muscolare, diabete tipo 2, crampi e minor resistenza allo stress. Bassi livelli di magnesio aumentano la predisposizione dell'organismo verso malattie come cardiopatie, ipertensione arteriosa, calcoli renali e depressione.

Il fabbisogno giornaliero per un adulto sano è compreso tra i 200 e i 320 mg mentre l'assunzione raccomandata dalla Commission of the European Communities è compresa tra i 150 e i 500 mg/giorno.
Il problema della carenza di magnesio (tra gli altri minerali e vitamine) coinvolge tantissime persone nel mondo occidentale. La carenza di questo fondamentale elemento è dovuta a diversi fattori.
Uno di questi, forse il più sottovalutato, è l’impoverimento del suolo dovuto al sovra sfruttamento dei terreni agricoli che, unitamente alle moderne tecniche di allevamento, causano bassi depositi di questo elemento. Il magnesio presente nel terreno deriva sia dai minerali contenuti nell’originaria roccia madre sia dalla decomposizione della sostanza organica e dalla sua mineralizzazione. Generalmente, è contenuto in composti altamente solubili che vengono facilmente assimilati dalle piante, ma altrettanto facilmente vengono allontanati tramite erosione e dilavamento. Dato che le attuali tecniche industriali di coltivazione tendono ad azzerare la sostanza organica e a favorire dilavamento ed erosione, il magnesio risulta essere molto inferiore a quello che potenzialmente il suolo potrebbe fornire. Se aggiungiamo che i cicli di coltivazione sono continui e che il terreno non viene lasciato riposare, ci rendiamo conto che dai prodotti agricoli industriali possiamo ricavare ben poco magnesio. Inoltre, spesso la sua carenza di è dovuta ad errate concimazioni, infatti il magnesio è antagonista del potassio e un eccesso di quest’ultimo limita lo spazio per il magnesio, con il risultato che avremo un terreno molto ricco di potassio ma comunque scarso in magnesio. Per questo è importante che la verdura e la frutta che consumiamo, non solo sia biologica, ma è necessario anche sapere da dove viene e che tecniche di coltivazione vengono utilizzate per produrla. Risulta ovvio che la cosa migliore è l’autoproduzione, coltivare il proprio orto (anche un orto di comunità) e la propria frutta è la soluzione per ottenere dei prodotti sani e nutrienti.
Altro elemento è l’elevato consumo di zucchero raffinato nella nostra dieta giornaliera. Per ogni molecola di zucchero che consumiamo, il nostro corpo utilizza 54 molecole di magnesio per elaborarlo. Paradossalmente, più assumiamo zucchero, più ci stanchiamo, il che sembrerebbe impossibile visto che da sempre allo zucchero è associata una qualche forma di energia immediatamente disponibile.
I Cibi raffinati/trattati sono privati del loro contenuto minerale, delle vitamine, e del contenuto di fibre. Si tratta di alimenti che invece di fornire energia la assorbono perché in realtà sequestrano il magnesio per essere metabolizzati. Quando consumiamo questi cibi, il nostro corpo deve di integrare il magnesio o siamo destinati ad crollare a causa della carenza grave di magnesio e altri minerali.
Lo stress è il male dei nostri tempi e in questo caso la definizione è più che calzante: la produzione di ormoni dello stress richiede alti livelli di magnesio e le esperienze stressanti portano all’esaurimento dei depositi di questo elemento. Quindi possiamo comprendere la stanchezza che ci coglie quando subiamo una giornata stressante, magari fisicamente non abbiamo fatto niente, ma a fine giornata siamo completamente distrutti.
Il magnesio è consumato anche da molti farmaci come i contraccettivi orali, antibiotici, cortisonici, prednisone e farmaci per la pressione del sangue. Inoltre, il caffè e il tè aumentano il drenaggio del magnesio, favorendone l’escrezione.
 Il magnesio partecipa, abbiamo detto, a numerosissime attività del nostro corpo, il che lo rende indispensabile per stare in buona salute. Ma dove si può trovare il magnesio?
Gli integratori di magnesio causano spesso spiacevoli conseguenze intestinali, e l'uso del magnesio transdermico presenta alcuni svantaggi non trascurabili (variabilità tra i soggetti legati alle caratteristiche peculiari della pelle e a suoi stati patologici, irritazioni, ecc.). Un consiglio? Cercate le fonti alimentari naturalmente ricche di magnesio, ovviamente molto meglio se queste fonti le ottenete dal vostro orto; non è difficile se pensate che il magnesio è abbondante nella clorofilla, quindi, nelle piante a foglia verde e larga se ne trova sempre una grande quantità: bietole, piselli, spinaci, broccoli, cavolfiori, cavoli ma anche rape, patate e pomodori. Una porzione di 100 grammi di spinaci mangiati crudi in insalata forniscono circa 79 mg di magnesio altamente biodisponibile. Grandi quantità di magnesio si trovano nei legumi, nei cereali integrali e nella frutta secca. Se i cereali sono raffinati perdono più dell’80% del magnesio. Tra la frutta un ottimo dosaggio si trova nelle banane, arance, fragole, ciliegie, lamponi, more, uva, ananas, avocado, fichi e melone. Carne, latte e derivati sono fonti secondarie e trascurabili di magnesio, quindi si può affermare che una dieta ricca in vegetali e cereali integrali darà un apporto maggiore di magnesio rispetto alle diete ricche in carne e formaggi. Un’ultima buona, anzi ottima notizia è che il cioccolato (fondente) è ricchissimo in magnesio, fate voi…

sabato 9 gennaio 2016

Zai: una via di fuga dalla desertificazione

Realizzazione di una griglia di Zai. Fonte Farming Africa
Ci sono posti sul nostro pianeta che definire inospitali è poco, posti dove far crescere un filo d’erba nel terreno rappresenta un’impresa epica degna di celebrazioni e onori. Roba da far impallidire anche il protagonista del romanzo di Andy Weir (The martian) che, abbandonato dai suoi colleghi su Marte, riesce a sopravvivere aguzzando al massimo l’ingegno, riuscendo a far crescere le patate dove era impossibile crescessero. L’uomo è una specie indubbiamente invasiva e distruttiva, ma ha il pregio che nelle difficoltà riesce sempre a trovare una via di uscita, anche in situazioni tragiche. Chissà come si sono sentiti gli antichi  abitanti del Sahel, una regione occidentale del Burkina Faso, quando si sono ritrovati a coltivare lande bruciate dal sole, battute da rarissime e comunque violente e distruttive piogge, caratterizzate da suoli aridi e incrostati, inadatte ad ospitare la vita vegetale. Eppure, anche in questo caso, l’ingegno e la caparbietà umana hanno avuto la meglio sul degrado e sulla devastazione. Gli uomini del Sahel hanno cominciato ad utilizzare quello che avevano a disposizione (pietre, legni, fascine) per migliorare le condizioni colturali, costruendo strutture atte a trattenere l’umidità oppure a condensarla dall’aria, ma è stato quando non c’era assolutamente niente a disposizione attorno a loro, quando l’unico elemento che avevano era il suolo reso durissimo dai crostoni salini, è stato in quel frangente che hanno avuto un’idea rivoluzionaria, semplice ed efficacissima: lo ZAI.

Amsterdam: una città a misura di ape

Il declino inesorabile delle popolazioni di insetti a livello mondiale viene ormai considerato il prodromo di una vera e propria estinzione...