martedì 29 dicembre 2015

Spremere acqua dall'aria


Orto dei Tu'Rat
Da un po' di tempo a questa parte assistiamo alla presentazione di ogni sorta di diavoleria atta a estrarre acqua dall'aria. Il fatto che i venti trasportino una certa quantità d'acqua ha stimolato fantasia e creatività di ingegneri, inventori e imprenditori che, vuoi per estrema necessita (gli israeliani ad es.) vuoi perché hanno fiutato l'affare del secolo (gli israeliani + il resto del mondo) hanno prodotto una marea di apparecchiature varie per estrarre acqua dai venti umidi. Certo, in effetti l'acqua tra un po' sarà un bene prezioso, ma fino a quando la considereremo un mezzo di trasporto per i nostri escrementi non avremo acquisito la giusta sensibilità per trattare questo problema. L'acqua è sempre più inquinata e sempre più rara, ma in tempi non sospetti, quando ancora questo liquido vitale non era contaminato dalle attività umane, i nostri progenitori avevano già delle tecniche validissime per estrarlo dall'aria, specialmente in quei posti dove anche a scavare per un chilometro non si sarebbe spremuta una goccia d'acqua. Nell'aria non c'è tantissima acqua (circa il 3% in peso), ma se consideriamo la facilità di spostamento di grossi volumi di aria attraverso il vento si può comprendere come la risorsa cominci a diventare di una certa consistenza e di un certo interesse anche in ottica futura. Esempi di strutture di condensazione esistono fin dalle prime forme di civiltà umana con forme e strutture diverse ma che sfruttano sempre il seguente semplice principio: l'aria umida entra in contatto con la superficie delle pietre, l'acqua condensa su queste superfici e viene raccolta attraverso la stessa forma della struttura per essere usata come acqua potabile o per altri usi. Le più semplici strutture per la condensazione sono i muri a secco che incontriamo nelle campagne, spesso al sud (Sicilia, Puglia, ecc.), ma anche nel nord Italia (Liguria ad es.), certo sono delle strutture di raccolta involontarie, cioè non sono state costruite per quello scopo, ma loro non sapendolo continuano a condensare l'acqua presente nei venti umidi che le colpiscono. La condensazione dell'acqua sui muri a secco crea un particolare ambiente alla base della struttura che normalmente favorisce la crescita di vegetazione e funghi che spesso si trovano alla base dei muri (ad esempio in Sicilia i muri a secco sono uno dei luoghi dove crescono meglio gli asparagi selvatici). Inoltre la fitta rete di muri a secco favorisce l'infiltrazione dell'acqua nel terreno agendo da barriera per le acque di scorrimento superficiale. Camillo Reina, un geologo pugliese del ‘900,  ha dimostrato l’efficacia di questo arcaico sistema di irrigazione verificando la capacità di condensare l’acqua dall’aria atmosferica, ma anche quella di arrestare il processo di evaporazione garantendo un continuo rifornimento di acqua alla radici delle piante. In pratica il muro garantisce anche una sorta di "pacciamatura pietrosa". In Puglia ad esempio, dove si concentra lo studio di Reina, terra dove l’acqua è preziosissima, si realizzano le condizioni per trarre vantaggio dall'umidità atmosferica a beneficio di alberi, a mezzo di muretti a secco. La conferma della capacità dei muretti a secco di condensare il vapore acqueo viene da una tecnologia dell’antichità che veniva chiamata i “pozzi di rugiada”. Sotto questa dicitura venivano raccolte tutte le costruzioni che riuscivano a far condensare l’umidità atmosferica e convogliarla verso precisi usi. I pozzi di rugiada ritrovati sono molto antichi e di diverse dimensioni, il principio è semplice: si tratta di strutture costituite da pietre giustapposte, con delle cavità che permettono al vapore di entrare, ma sono al riparo dal calore solare diurno, e dal vento che disperderebbe la condensa. Quindi durante il giorno, mentre l’aria esterna si scalda, le rocce rimangono fresche e consentono al vapore di condensare quando impatta sulla loro superficie. Strutture del genere sono molte frequenti in tutte le culture e civiltà, citiamo i pozzi d’aria di Teodosia (500 a.C.), gli antichi stagni di rugiada del Sussex Downs delle colline di Mariborough e del Wiltshire. Più recenti sono le invenzioni dei pozzi ad aria di S.B. Russell (1922), L. Chaptal (1929) di Achille Knapen (1930) e C. Courneya (1982).

venerdì 27 novembre 2015

Evitare il botulino

Conserve fatte in casa: tutti i consigli per evitare il botulino, le muffe e i batteri, in un vademecum dell’Istituto Superiore di Sanità.


mercoledì 25 novembre 2015

I micro digestori

Questa è una sintesi dei diversi aspetti della progettazione e del funzionamento dei digestori di biogas su piccola scala familiare. Il documento esamina i diversi progetti di digestori e i materiali utilizzati per la costruzione, importanti parametri operativi quali pH, temperatura, substrato, tasso di carico, le applicazioni del biogas, le politiche dei governi in materia di uso di digestori domestici, e gli effetti sociali e ambientali dei digestori. Il biogas è un valore aggiunto prodotto della digestione anaerobica di composti organici. La produzione di biogas dipende da diversi fattori tra cui: pH, temperatura, substrato, tasso di carico, tempo di ritenzione idraulica (HRT), rapporto C/N, e la miscelazione. I digestori domestici sono economici, facili da gestire e riducono la quantità di rifiuti organici casalinghi. La dimensione di questi digestori varia tra 1 e 150 m3. I progetti più utilizzati solitamente sono i seguenti: a cupola fissa, tamburo galleggiante, e tipo plug flow. Biogas e digestato ottenuti al termine della digestione anaerobica possono essere utilizzati rispettivamente per la cottura, l'illuminazione, l'elettricità e per la fertilizzazione dei terreni. Il file è il risultato di una traduzione, a volte un po' approssimativa a causa della mancanza di tempo (scusate la migliorerò!) di uno studio svedese che ha analizzato gli aspetti tecnici, ma anche sociali di questi piccoli digestori. Il file con la traduzione lo trovate qui. La pubblicazione originale è invece scaricabile da questo link.



lunedì 19 ottobre 2015

I figli elettrici di Archimede

Chissà come sarebbe orgoglioso di loro il siracusano Archimede e chissà se lui avrebbe mai immaginato che il seme del suo genio non sarebbe andato disperso tra le pieghe del tempo. Parliamo di un valoroso gruppo di siracusani che cinque anni fa hanno creduto in un progetto che sembrava impossibile e irrealizzabile:  ideare e realizzare un veicolo elettrico innovativo e low cost a Siracusa. Se per molti l'idea irrealizzabile è quella relativa al versante tecnico, vi assicuro che il fatto di volerla pervicacemente realizzare a Siracusa è impresa altrettanto eroica. Degna progenie siracusana ha raccolto il testimone dell'illustrissimo avo, intraprendendo un'epica impresa tra scienza e tecnologia, ma purtroppo per loro, anche tra ignoranza e ignavia della politica, tra imprenditori assai poco lungimiranti e una cittadinanza che si fatica a coinvolgere. Dimenticandosi delle placide domeniche trascorse a passeggiare in Ortigia, si sono rinchiusi in laboratorio a provare nuove idee e mettendoci i propri soldi hanno portato avanti il loro sogno per cinque anni. Eppure, il progetto porterebbe (e sono sicuro che accadrà) onore e lustro alla città di Archimede, ma non solo, questo fantastico team sta realizzando tutto tramite una onlus (Futuro Solare Onlus) senza scopo di lucro, e sono disponibili a cedere il loro know how a patto che la vettura venga interamente realizzata in terra siciliana. Questo porterebbe alla realizzazione di uno stabilimento di produzione che impiegherebbe forza lavoro locale e di questi tempi la cosa non è certo trascurabile. Si badi bene che qui parliamo di un prodotto ideato, progettato e realizzato molto seriamente e con grande competenza e intelligenza, coinvolgendo università, aziende e brevettando le idee che sono germogliate all'interno del team di lavoro. 



  Il progetto di futuro solare è conosciuto e apprezzato anche al di fuori dei confini nazionali, ma purtroppo ancora non abbastanza in Italia.  Per fortuna, qualcuno che crede  in questo progetto esiste, gli sponsor sono diversi e li potete vedere sul sito di Futuro solare onlus, ma  un impegno del genere necessita di un ulteriore spinta e per questo il team ha aperto una raccolta di fondi sul sito kickstarter.com per finanziare la fase finale della realizzazione dell'auto solare Archimede. Devono raggiungere 15.000 euro in 50 giorni, aiutiamo Futuro Solare onlus a raggiungere questo obiettivo.

A proposito, i figli elettrici di Archimede (come li ho ribattezzati) hanno un sito web (http://www.futurosolare.com/dove spiegano il loro progetto (ne hanno anche altri) e un profilo facebook con il quale tengono aggiornati il loro sostenitori e simpatizzanti.
Per chi volesse assistere alla presentazione del prototipo, il 21 ottobre presso la sala stampa dell'autodromo di Pergusa potrà toccare con mano il frutto della genialità dei figli di Archimede.

venerdì 21 agosto 2015

Le sorprese della portulaca


Molte volte la natura ci mette sotto gli occhi delle meraviglie che noi non consideriamo nemmeno. Molte piante con caratteristiche e proprietà eccezionali sono considerate alla stregua di erbe infestanti e vengono estirpate dal terreno e buttate. La Portulaca oleracea ad esempio, è una piantina invadente che tutti conosciamo perché i nostri giardini e orti sono spesso colonizzati da questa piccola erba prostrata con fusti e foglie carnose che continua caparbiamente a crescere nonostante la si calpesti ed estirpi continuamente. La Portulaca era conosciuta in Italia e Francia già dall'inizio del XVI secolo, visto che nel 1536 Ruellio la descriveva nei suoi scritti, ma è originaria del medio-oriente, più precisamente proviene da quella fascia che va dalla Grecia fino alla Cina. Usata a scopo alimentare in India, Africa e Medio Oriente. Una specie simile, Portulaca quadrifilia, viene utilizzata da alcune tribù del Sudafrica per le sue proprietà antiemetiche. La sua facilità nel propagarsi, unitamente alle sue scarse pretese di habitat e nutrimento, l'ha resa ubiquitaria (sopra i 1000 metri di quota però non cresce); generalmente la troviamo in pieno sole su diversi tipi di terreni, asciutti, erbosi, sabbiosi, con una preferenza per i terreni ricchi in azoto. Data la grande quantità di semi che produce sul finire dell'estate, è sufficiente un solo esemplare per avere l'anno successivo decine di piantine in un raggio di 10 metri dalla pianta madre. Per la sua consistenza carnosa la portulaca è chiamata anche Porcellana (ma anche porcacchia, erba grassa, precacchia, ecc), le foglie sono di un colore verde brillante e di forma ovale e si raccolgono in piena estate. La portulaca detiene un singolare primato, è il vegetale più ricco di omega 3, è questo basterebbe già a considerare in modo benevolo il consumo alimentare di questa pianta. Più precisamente 100 grammi di foglie di portulaca contengono all'incirca 350 mg di acido alfa-linolenico che un acido grasso facente parte del gruppo degli omega 3. Gli omega 3 aiutano a ridurre il colesterolo LDL e i trigliceridi e migliorano la circolazione sanguigna. Diciamo che consumando regolarmente la portulaca si potrebbero evitare fonti di omega 3 di origine animale (pesce). Ma le sorprese di questo simpatico vegetale spontaneo non finiscono qui, le foglie sono sono ricche di vitamina E (700 mg per 100 g di pianta fresca), hanno un buon contenuto di vitamina C, vitamina A, riboflavina, niacina e piridossina (vitamine del gruppo B). Sono, inoltre ricche di sali minerali (ferro, magnesio, calcio, potassio, fosforo, zinco, selenio, rame e manganese), fibre vegetali e mucillagine. Cosa che non guasta contiene pochissime calorie (16 kcal per 100 g). Ha forti proprietà depurative, antiossidanti (fornite dalla vitamina A), antielmintiche, dissetanti, diuretiche e, recentemente, è stata scoperta la sua capacità (grazie agli antiossidanti) di prevenire diverse forme tumorali. In passato, vista la ricchezza di vitamine veniva utilizzata nella cura dello scorbuto, ma è stata utilizzata anche in molte malattie polmonari e della pelle. Contro le gengive infiammate sono utili gli sciacqui con l'infuso o la masticazione di foglioline fresche; compresse e lavaggi per pelle arrossata e orticaria.


mercoledì 12 agosto 2015

Mosche della frutta e lombrichi


Uno degli inconvenienti (pochi) che si possono presentare durante la gestione della lombricompostiera è la presenza delle uove di mosca della frutta negli scarti vegetali che diamo come cibo ai nostri amici anellidi. La conseguenza è che dopo qualche settimana troviamo la compostiera invasa dal fastidioso volare di decine di giovani mosche della frutta. La presenza di mosche della frutta non è certo un problema per i lombrichi, le due specie non sono in concorrenza ambientale o alimentare, però è chiaro che sono una presenza fastidiosa per noi umani e l'inconveniente diventa più sgradevole se teniamo i lombrichi in casa. Fortunatamente la soluzione è abbastanza semplice ed efficace: la prima cosa da fare è ricordarsi sempre di seppellire le razioni di cibo nella compostiera; questa operazione limita sia la nascita delle mosche sia il richiamo operato dagli odori emanati della frutta sugli esemplari adulti. Ma se vogliamo eliminare alla radice il problema possiamo mettere in atto la seguente strategia: quando finiamo i pasti, tagliamo a piccoli pezzi i resti della frutta o della verdura e mettiamoli dentro un contenitore in plastica (quelli che contengono la frutta o la verdura nei supermercati), poi infiliamo il contenitore nel congelatore e lo conserviamo fino a quando non dobbiamo nutrire i lombrichi.
Le basse temperature “sterilizzano” gli scarti eliminando le uova di mosca della frutta e di altri insetti. Anche un rapido passaggio nel micro onde elimina le uova, scegliete il metodo a voi più congeniale. Usciamo dal congelatore il contenitore pieno di scarti e lasciamolo scongelare per qualche ora. Possiamo anche prelevare solo la razione per i lombrichi e rimettere il contenitore nel congelatore, oppure possiamo avere più piccoli contenitori mono dose. A questo punto possiamo mettere gli scarti nella compostiera avendo sempre cura di seppellirli all'interno della lettiera. In questo modo si elimineranno gli odori, non verranno attirati altri insetti e non ci saranno più ospiti indesiderati che svolazzano nella compostiera.

mercoledì 5 agosto 2015

Gelo di melone, come recuperare un'anguria senza sapore



L'anguria a casa mia è stata da sempre considerata un must, i miei ricordi di infanzia, pur scoloriti, si ravvivano al pensiero dell'anguria portata a casa da mio padre. La conservava con cura in frigorifero, fino al raggiungimento della temperatura ottimale e dopo il generoso pranzo domenicale avveniva il rito di apertura del frutto e nel malaugurato caso che l'anguria fosse insapore seguiva un immancabile anatema per l'avventato fruttivendolo che aveva osato buggerare mio padre. In quella funesta circostanza l'intero e succoso frutto finiva paro paro nel cassonetto dell'immondizia con profusione di contumelie nel tragitto casa-cassonetto-casa da parte di mio padre (sempre indirizzate al fruttarolo). Questi episodi sono riemersi dal mare pallido dei ricordi perché ieri ho comprato un'anguria che sembrava promettente, con la sua buccia liscia di colore verde con varie striature e chiazze più chiare; ma già all'apertura, nonostante l'interno di colore rosso acceso, mi sono reso conto che c'era qualcosa che non andava, non si sentiva il profumo solare e zuccherino della polpa della cucurbitacea, al suo posto il nulla assoluto, sembrava di plastica. Decido allora di assaggiarla e, niente, non c'era nulla da fare, il sapore era quello delle famigerate angurie di mio padre: acqua fresca, anzi non era nemmeno fresca perché l'avevamo appena comprata. A questo punto il dilemma era: prendo quattrochiliduecentocinquanta grammi di cocomero e lo getto nell'immondizia, anzi nel compost, oppure cerco qualche modo per utilizzare l'insipida polpa. Ci voleva qualcosa a base zuccherina, almeno avrebbe dato un sapore a quella pallida copia di un'anguria. Dopo brevissima riflessione ho identificato la ricetta per il recupero culinario del citrullo (beh se non lo sapete citrullus è il nome scientifico dell'anguria): il gelo di melone, ovvero la gelatina o budino di anguria, ricetta tipica della pasticceria siciliana. Le caratteristiche della ricetta riparatoria c'erano tutte: per prima cosa non era elaborata, in questi frangenti sei sempre preso alla sprovvista e serve qualcosa di semplice. Seconda cosa importantissima: nella ricetta lo zucchero viene dosato in funzione della nota zuccherina dell'anguria (in questo caso assente), per cui viene dato un range di peso di zucchero. Ovviamente, il limite inferiore era previsto per angurie inopinatamente dolci, mentre il limite superiore per quelle lisce e senza sapore. Naturalmente, in questo caso ho dovuto utilizzare il limite superiore dell'intervallo. Terza cosa, non meno importante: ERA UN DOLCE!
Una volta realizzata la ricetta mi sono reso conto che a volte non è necessario andare a scovare particolari e ricercate ricette di eco-cucina, in tanti casi la soluzione sta nella saggezza della nostra storia e della nostra gente. La cucina popolare è evidentemente una cucina antispreco, la gente non poteva certo permettersi di buttare preziose risorse e in cucina cercava di ottenere il minimo sfrido, utilizzando tutte le parti degli ingredienti e cercando di recuperare quelli che magari non erano di prima qualità come la mia anguria.
Il gelo di melone è venuto buonissimo, lo zucchero ha risvegliato l'umore dolce dell'anguria che ha ricordato di avere un profumo, ho evitato di buttare nella spazzatura quasi cinque chili di cocomero e mi sono sollazzato con un dolce straordinario della tradizione siciliana. Per tutti questi motivi questa ricetta assurge a regina per un giorno della cucina di riparazione. Ecco a voi la ricetta del gelo di anguria o gelo di melone o meglio ancora, come dicono a Palermo, gelo di mellone con due elle.

Ingredienti
  • Un litro di succo di anguria
  • 100-200 g di zucchero (in base alla dolcezza naturale del succo)
  • 90 g di amido di frumento
  • Cannella in polvere q.b.
  • Pistacchi tritati q.b.
  • Gocce di cioccolato (facoltative)
  • Zuccata a dadini (facoltativa)


Tagliare a pezzi un’anguria e passarla fino a estrarne un litro di succo. Filtrare il succo per eliminare i semi e versarlo poco per volta in una pentola, mescolandolo all’amido di frumento setacciato fino a ricavare una crema liquida.
Unire al composto lo zucchero, porre la pentola sul fornello a fiamma moderata e mescolare con cura fino a quando il gelo di anguria non si addenserà e assumerà un colorito più intenso (10-15 minuti).
Trascorso questo tempo, togliere il gelo dal fuoco e metterlo a raffreddare in un altro recipiente. Quando sarà diventato sufficientemente freddo unirvi la zuccata a dadini e le gocce di cioccolato e versare il tutto in delle coppette.
Fare raffreddare il gelo di anguria in frigorifero per il tempo necessario affinché assuma più o meno la consistenza di un budino e infine guarnire con una spolverata di cannella, qualche altra goccia di cioccolato e la granella di pistacchio prima di servire. Ci sono diverse varianti nella guarnizione in base alla zona e alla tradizioni locali, granella di mandorle, chiodi di garofano, fiori di gelsomino, l'acqua di fiori di arancio o gelsomino, granella di pistacchi e anche canditi.
Ricetta tratta da www.dolcisiciliani.net

venerdì 31 luglio 2015

Autosufficienza informatica




Tante volte abbiamo parlato di autosufficienza alimentare, anzi la quasi totalità delle volte l'autosufficienza è intesa esclusivamente come il rendersi autonomi e indipendenti dal punto di vista del sostentamento alimentare. In realtà, l'autosufficienza deve essere intesa in un'ottica più vasta, una filosofia di vita che può essere applicata nei molteplici aspetti del vivere quotidiano. Prendiamo ad esempio questo post: in questo momento sto scrivendo su un vecchio netbook recuperato che non aveva più speranza di essere riutilizzato, il suo scarso equipaggiamento hardware e il sistema operativo di cui era dotato inizialmente, lo avevano reso talmente lento da rendere oggi impossibile il suo utilizzo. Per fortuna la comunità informatica indipendente ci regala prodotti eccezionali, frutto esclusivo della passione e dell'intelligenza di persone che hanno come unico scopo la condivisione della conoscenza. Armato di buoni propositi ho cominciato una ricerca sui diversi sistemi operativi che potevo installare al posto di “finestre”, dopo una lunga immersione nel mare magno internettiano la scelta è ricaduta su una versione “alleggerita” di linux che bene si adattava all'hardware che il piccolo netbook aveva in dotazione. Il sistema operativo si chiama LUBUNTU ed è il fratellino minore di UBUNTU che viene installato sui notebook o sui desktop. LUBUNTU impiega una frazione delle risorse hardware rispetto a UBUNTU e addirittura un decimo rispetto a windows.
Desktop di LUBUNTU

lunedì 27 luglio 2015

Formiche e lombrichi

Un paio di settimane fa, durante il mio routinario controllo settimanale della lombricompostiera, ho avuto una spiacevole sorpresa: una famiglia di formiche, regina, svariati padri e circa 20.000 figli hanno deciso di traslocare in modo massiccio all'interno della lombricompostiera. La cosa all'inizio mi ha lasciato un po' perplesso, perché per la prima volta le formiche attaccavano massicciamente e in modo fulmineo la compostiera. Fino a quel momento non avevo attuato le tipiche soluzioni antiformiche: esche esterne, piedini della compostiera immersi nell'acqua e siamo stati assolutamente tranquilli (io e i lombrichi...). Questa volta una colonia un po' più intraprendente ha deciso di insediarsi all'interno della compostiera. Come dargli torto, clima umido e piacevole, abbondanza di cibo, materiale da scavare soffice ma consistente. Le formiche non vanno tanto d'accordo con i lombrichi perché sono in competizione per il cibo e sono anche dei nemici naturali, quindi è meglio evitare la convivenza di queste due specie, senza contare che se tenete la compostiera in casa o nelle sue vicinanze, non è proprio piacevole ritrovare in giro per casa qualche migliaio di formiche. Escludendo tutti i metodi chimici, ho cominciato a pensare ad una soluzione a questo spiacevole inconveniente. Ho pensato che era necessario verificare le caratteristiche etologiche di entrambe le specie e trovare un punto di contatto che fosse critico per una delle due.
Temperatura e pH non sembravano promettenti e quindi sono passato all'umidità, questo parametro fisico è importantissimo per i lombrichi che devono avere un'umidità sempre superiore al 60-70 %, con umidità ideale intorno all'80%. Anche le formiche amano l'umidità ma fino a un certo punto,  se l'umidità è eccessiva e va a minare la stabilità del complesso reticolo di gallerie che realizzano per instaurare la colonia, le formiche smontano tutto e cercano altre sistemazioni. D'altro canto il lombrico ha una caratteristica che sfiora il limite del superpotere: riesce a sopravvivere per giorni anche se sommerso in acqua! Naturalmente il livello dell'ossigeno disciolto nell'acqua deve essere elevato, ma in condizioni normali riesce comunque a rimanere in vita per un certo periodo di tempo. A questo punto avevo trovato il bandolo della matassa, ho preso un innaffiatoio e ho innaffiato abbondantemente fino a quando la compostiera non si è ritrovata completamente allagata. Dopo un paio d'ore l'acqua era scesa dai fori di drenaggio e il materiale della compostiera era completamente zuppo. Tutte le gallerie delle formiche erano distrutte e le formiche si aggiravano spaesate sulle pareti della compostiera. l'indomani ho controllato la compostiera e con sommo rammarico ho dovuto constatare che le formiche si erano riorganizzate e stavano alacremente ricostruendo i cunicoli all'interno della lettiera dei lombrichi. Ma una flebile speranza si cominciava a fare largo nella mia mente: i lombrichi, pur essendo rimasti per un paio d'ore sott'acqua, erano sani e salvi e guizzavano velocemente nella lettiera fangosa. Allora ho nuovamente allagato la compostiera e in aggiunta ho rimescolato con la mano tutto il materiale. Anche questa volta i lombrichi sono rimasti immersi nel fango e il giorno dopo, aprendo la compostiera, ho ritrovato le formiche intente a scavare nuovamente le loro gallerie, ma questa volta il loro numero sembrava essere diminuito.  Al terzo giorno, ho ripetuto la procedura e al successivo controllo ho ritrovato solo poche formiche intente nella ricostruzione. I lombrichi, invece, sembravano più in forma che mai, si muovevano velocemente nell'impasto fangoso della lettiera e avevano superato agevolmente la terza inondazione. Arrivati al quarto giorno di innaffiatura non c'erano più formiche nella compostiera, avevano saggiamente deciso di trovare un posto meno soggetto a calamità più o meno naturali e hanno lasciato in pace i lombrichi. Sono passate due settimane e le formiche non sono tornate, i lombrichi prosperano e per la soluzione del problema non sono stati usati insetticidi o altri composti chimici industriali. Anche la microfauna, che era stata decimata dalle ripetute sommersioni, si è prontamente riformata (anche grazie all'azione dei lombrichi). Ogni volta che si presenta un problema del genere la cosa più intelligente da fare è trovare l'elemento naturale (un predatore, un composto naturale, condizioni ambientali o di alimentazione) che contrasta l'elemento invadente e ripristina il naturale equilibrio senza lasciarsi trasportare da soluzioni facili ma estremamente dannose come la chimica industriale.

sabato 20 giugno 2015

Ecocucina: il dado fatto in casa

I piccoli gesti quotidiani sono importantissimi, sono quelli che compiamo quasi meccanicamente, mentre pensiamo ad altro e sui quali nemmeno ci sfiora il dubbio che possano determinare guasti o problemi. Sono quelli che ci portano a buttare con noncuranza una carta per terra mentre passeggiamo con gli amici o a sprecare quello che resta del nostro cibo dopo i pranzi familiari. Ma sono gesti molto importanti perché sono comuni a tutti e quindi una piccola azione individuale negativa o positiva può diventare un atto mostruoso e devastante o un virtuoso gesto collettivo. In particolare, le azioni consuete e ripetitive che eseguiamo in cucina possono diventare uno spartiacque tra spreco e recupero e purtroppo, in genere, a prevalere è la prima opzione; i dati che vengono diffusi dagli istituti di ricerca ci indicano una situazione sconfortante: buttiamo via circa il 35% del cibo che acquistiamo! Una quantità enorme se consideriamo che la maggior parte di quello che gettiamo è ancora edibile. Dobbiamo ricordarci che tutto quello che avanza in cucina può essere riutilizzato, sia il cibo cucinato sia il crudo, ma anche gli scarti possono e devono essere riutilizzati: bucce, radici, baccelli, gambi, foglie possono essere cucinati tramite fantasiose ricette che la nuova frontiera della eco cucina ci suggerisce, oppure possono essere conservati in congelatore, fino a quando non raggiungiamo una quantità sufficiente per fare un ottimo e sano dado vegetale di scarti di verdure. Il dado vegetale è uno degli ingredienti maggiormente usati in cucina, quando acquistate quello industriale, generalmente comprate anche del glutammato di sodio, degli estratti di lieviti industriali, coloranti, conservanti vari, tutta roba non propriamente salutare (ah credo che ci sia pure una minima parte di estratti di verdure). Ma il dado vegetale è già nelle nostre cucine, aleggia tra il frigo e la dispensa, solo che dobbiamo evitare di farlo finire nelle pattumiere. Il dado si può fare con tutti i resti vegetali, ci sono molte ricette, ma in realtà, seguendo una pura aspirazione di autosufficienza ecologista, si fa con quello che abbiamo a disposizione: foglie, bucce, gambi, baccelli, ecc. Quindi la ricetta è estremamente variabile e può assumere connotati quasi alchimistici, però nel 99% dei casi il dado verrà più buono di quelli comprati e nel 110% dei casi sarà più sano di quello industriale, fatto da una multinazionale che tra la vostra salute e il proprio fatturato non abbiate nessun dubbio sceglierà il secondo!

Io l’ho fatto così:
1 cipolla
1 spicchio di aglio
Prezzemolo
Erba cipollina
Timo
Basilico
Foglie di sedano avanzate
Una quindicina di fagiolini 
Una quindicina di piselli (intendo interi con tutto il baccello)
Una carota
Una zucchina
Scarti pelati di carota zucchine e melanzane
Parti buone recuperate da pomodoro andato a male

venerdì 12 giugno 2015

Liscivia - Metodo a freddo


La preparazione della liscivia con il metodo a freddo non è altro che la riproduzione di un fenomeno naturale chiamato lisciviazione. In sostanza si tratta dell'estrazione di elementi solubili all'interno di una massa solida tramite un solvente. Nel nostro caso il solvente è acqua distillata e il solido è la cenere. Il passaggio dell'acqua attraverso la cenere fa entrare in soluzione i vari sali presenti nella cenere creando una soluzione alcalina che viene utilizzata come sbiancante e detergente sia per i panni sia per altri usi domestici.
Della serie non si butta via niente, in questo post impareremo a fare la liscivia (o lisciva, o liscia, oppure in toscana ranno) con il metodo a freddo senza spendere soldi ed utilizzando esclusivamente ingredienti reperibili in casa. I componenti sono sostanzialmente 2: acqua piovana e cenere di legna. Si può utilizzare anche l’acqua demineralizzata, ma dato che ci siamo impegnati a raggiungere l’obiettivo dell’autosufficienza e non vogliamo sprecare, utilizzeremo l’acqua piovana sapientemente raccolta durante le piogge. Il secondo ingrediente è la cenere di legna, meglio se di legno duro (ulivo, quercia, ecc.), ma comunque la cenere deve provenire da legna e non da compensati, carte, cartoni e legni trattati. Andrà benissimo la legna della vostra stufa o camino, o se abitate in un appartamento con altri sistemi di riscaldamento, potete contattare una pizzeria con forno a legna che sarà felice di regalarvi un sacco di cenere che altrimenti andrebbe a finire in un cassonetto.
Veniamo all’attrezzatura necessaria per la fare la liscivia, semplicissima: 
  • 8-10 litri di acqua piovana o acqua demineralizzata
  • Un recipiente in plastica o acciaio (l'importante che non sia in alluminio che reagisce con la liscivia) per contenere la cenere (Foto 1). La plastica è l'ideale, anche perché bisogna realizzare un buchino sul fondo per far defluire la liscivia (Foto 2). Il contenitore deve poter contenere 30 litri di cenere.
  • Un recipiente in plastica più piccolo per raccogliere il liquido (da 3 litri è più che sufficiente)
  • tessuto-non tessuto o toulle (Foto 3). 
  • Setaccio per la cenere (colino in metallo).

sabato 25 aprile 2015

lumbricus terrestris vs Eisenia fetida

Spesso mi domandano come si riconoscono i lombrichi terrestri da quelli che utilizziamo per il compostaggio. Cominciamo col dire che sono due specie diverse, con etologia e habitat profondamente differenti. Il lombrico terrestre (Lumbricus terrestris) è una specie anecica, Questo significa che il lombrico scava una fitta rete di gallerie nel sottosuolo (anche fino a due metri di profondità) dove vive e nelle quali trascina il suo nutrimento che si procura solitamente vicino la superficie. Il lombrico che si usa per il vermicompostaggio è una specie epigeica, quindi non è uno scavatore e praticamente se messo nel terreno muore nel giro di pochi minuti, questa specie vive e prospera all'interno di sostanza organica in decomposizione (letame, scarti vegetali, ecc). La specie è solitamente l'Eisenia fetida (o andrei), ma ce ne sono altre che possono essere utilizzate per il compostaggio (Peryonix escavatus, Lumbricus rubellus, Dendrobaena veneta, ecc). Anche il lombrico terrestre non deve essere prelevato dal suo ambiente naturale perché anche lui, se inserito in una compostiera, morirebbe rapidamente. Le differenze si possono notare nella foto, le dimensioni sono molto dverse: fino a 25-30 cm il lombrico terrestre, mentre il lombrico compostatore ha solitamente dimensioni non superiori agli 8-10 cm. Anche la colorazione è molto diversa: tra il grigio e il rosato per il lombrico terrestre, mentre il rosso per l'Eisinia andrei, il giallo e il marrone per l'Eisenia fetida. Se proprio volessimo liberare dei lombrichi rossi dovremmo portarli in un posto dove ci sia tanta sostanza organica in deposizione (letti di fogliame, humus, letame, ecc), ma considerando la loro utilità l'ideale è tenerli dentro la vermicompostiera, mentre il lombrichi terrestri è meglio che stiano sempre nel loro habitat naturale: sotto terra.

«I lombrichi sono un aratro naturale. Dubito ci siano molti altri animali che abbiano giocato un ruolo così importante nella storia del pianeta come i lombrichi. Rimescolando quei pochi centimetri di terriccio che ricoprono il pianeta, lo fertilizzano trasformandolo in humus» C. Darwin

lunedì 13 aprile 2015

13 erbe per migliorare il compost

Il compostaggio degli scarti di cucina e degli sfalci del giardino o dell'orto fornisce un prodotto finale con caratteristiche di certo non paragonabili ad un concime, infatti, anche dal punto di vista normativo il compost è definito un ammendante, cioè uno strutturante del terreno. il compost che produciamo in casa o nel nostro giardino non ha abbastanza azoto, fosforo, potassio (e tanti altri elementi) per avere il potere concimante. Per aumentare le qualità del nostro compost domestico possiamo fare delle integrazioni assolutamente naturali e benefiche che aumentano la quantità dei diversi elementi, migliorando le caratteristiche qualitative del prodotto finale.

Sono diverse le piante che possono essere introdotte nel cumulo (solitamente radici, fusto e foglie escludendo i semi, anche se a volte si usano anche quelli in infusione), molte di queste sono citate nei trattati di agricoltura biodinamica, altre provengono da una consolidata pratica antica (per esempio il sovescio). Ma le integrazioni che si possono fare non si limitano a migliorare l'output finale, determinate miscele riescono a fornire uno starter eccezionale per i cumuli un po' "pigri", come accade ad esempio nel quick return composting.  La gran parte delle piante elencate sono già presenti nei nostri giardini (ortica, borragine, tarassaco, ecc.) e quindi il reperimento risulterà immediato e privo di difficoltà. Le modalità di utilizzo sono diverse, ma generalmente, la via più facile è quella di introdurre steli, foglie e radici (a seconda della parte della pianta ricca dell'elemento ricercato) all'interno del cumulo.


1 - Achillea
L’Achillea è una pianta molto utile nel terreno. La sua vicinanza alle erbe aromatiche, come il timo, il rosmarino e il basilico sembra contribuire ad aumentare la produzione di oli essenziali nelle erbe e le rende più resistenti ai danni da insetti. Le erbe beneficiano anche per l'elevato livello di azoto dell’achillea, ed è ciò che la rende ideale per l’inserimento all'interno del cumulo di compost. L’achillea ha numerosi elementi che stimolano il compost, ferro, azoto, calcio, potassio, e fosforo in quantità, tanto che questa pianta è molto considerata in agricoltura biodinamica e viene somministrata sotto forma di infuso, fermentato, macerato e spray foliare. Oltre a migliorare la qualità del compost è un ottimo attivatore dei cumuli appena iniziati(entra di fatto nelle ricette per il compostaggio rapido) e contribuisce all'aumento della temperatura interna nel compostaggio a caldo.

martedì 24 marzo 2015

Olio di palma - green film



Green Film, diretto dal regista del regista Patrick Rouxell, racconta attraverso i ricordi di un orango in fin di vita, l'eccezionale vitalità delle foreste pluviali dell'Indonesia, e l'avanzare della loro distruzione per fare spazio alle piantagioni di acacia e palma da olio, per la produzione di carta e biodiesel. Immagini forti e poetiche di una tragedia dimenticata. GREEN è stato giudicato il miglior lungometraggio al 7° Festival Internazionale Audiovisivo della Biodiversità.

Questo è un documentario che dovrebbe essere visto da quante più persone possibile. Vincitore del miglior documentario corto nel recente Festival del Cinema Indipendente Durango, "Verde" documenta le ultime ore di vita di una femmina di orangutan. E 'quasi come se la vita gli viene risucchiata a lei come il suo ambiente viene distrutto. Lei diventa solo un'altra vittima della deforestazione e le piantagioni di palma da olio.



Il film racconta la bellezza e la diversità di un ecosistema un tempo rigoglioso verde attraversato da elefanti, una serie di primati di libellule.



Il documentario traccia ognuna delle minacce che gli oranghi subiscono - da parte dell'industria del legno fornendo il commercio di mobili esotici o il mercato cellulosa e carta per l'industria dell'olio di palma alimentare l'insaziabile domanda di prodotti alimentari, cosmetici e biodiesel. Il commercio illegale di animali vive in mezzo alla distruzione. 



"Green" è di 48 minuti lungo, è disponibile per il download gratuito per tutte le proiezioni private e pubbliche. Il film è in versione internazionale accessibile a tutte le nazionalità, prodotto in maniera indipendente e libera da ogni attaccamento commerciali o politici. Non esitate a proiettare il film ovunque ci si sente adeguato.
Fonte: Mr Traveler

mercoledì 18 marzo 2015

Olio di palma, condanna senza attenuanti

Da qualche mese la normativa europea ha reso più chiare le etichette dei prodotti alimentari e immediatamente  la marachella dei grandi produttori di merendine, dolci da forno e creme è saltata fuori: sotto la vaga e nebulosa dicitura di “oli vegetali” si celava il famigerato olio di palma. Immediatamente è scattato il processo mediatico a questo poco gradito ingrediente del 90% dei prodotti da forno e delle creme (tra cui la più famosa di tutte che ne ha dentro un considerevole quantitativo), ma questa volta, purtroppo per il soggetto incriminato,  più che a indizi ci troviamo di fronte a una serie di prove schiaccianti e inconfutabili che portano ad un comprovato verdetto di colpevolezza e ad una condanna senza sconti.
 Cominciamo dal conoscere l’imputato, l’olio di palma è un olio vegetale saturo non idrogenato ricavato dai frutti degli alberi di palma (genere Elaeis), mentre dai semi si ricava l’olio di palmisto. Si usa in una miriade di prodotti alimentari e per la cura del corpo, si usa anche come combustibile e molto più semplicemente come olio per frittura. L’olio non raffinato si presenta di colore rossastro, di consistenza semisolida e con un gradevole profumo di violetta, raffinandolo, oltre a perdere gran parte delle sue qualità, diventa liquido e di colore giallognolo. Geograficamente proviene per lo più da paesi della fascia equatoriale. Perché viene usato così massicciamente dall’industria alimentare? Elementare Watson, costa pochissimo rispetto agli altri oli e inoltre, si mantiene neutro al gusto e conferisce una notevole morbidezza nelle merendine e spalmabilità alle creme. Perché tutti dicono che usarlo è un crimine contro l’umanità, il pianeta, gli esseri viventi animali e vegetali, i sassi, i mari, i laghi, le pozzanghere, eccetera eccetera? Elementare Watson, perché è così!  Ci sono talmente tante prove, studi e fatti incontrovertibili che ci dicono che usare l’olio di palma fa male alla salute, alle economie locali, ai contadini e all’ambiente che si spiega per quale motivo fino ad adesso la maggior parte delle aziende alimentari non palesavano la presenza di questo olio nella lista degli ingredienti preferendo trincerarsi dietro la rassicurante dicitura “oli vegetali”. Ma dato che tutti hanno diritto ad un processo, cominciamo a produrre le prove della colpevolezza dell’imputato, cominciando dai danni alla salute prodotti dall’olio di palma. Durante il processo di raffinazione vengono perse tutte le sostanze antiossidanti di cui questo olio è ricco, mentre si concentrano i grassi saturi (il 43%) che sono altamente dannosi per la nostra salute e dato che ci siamo accorti che  l’olio di palma viene utilizzato in gran parte dei prodotti che acquistiamo (merendine, biscotti e snack, creme) la quantità pro capite consumata da ogni individuo è considerevole – in particolar modo tra i bambini.
Oltre ai danni per il consumatore finale, i problemi causati dall’olio di palma cominciano dall’inizio della filiera, causando devastazione lungo tutto il percorso che lo porta dalla piantagione fino alle nostre case. I primi danni sono cominciati negli anni 90, quando le grandi multinazionali hanno capito le potenzialità di questo prodotto e con le loro politiche neocolonialiste si sono assicurate la complicità di governicchi locali (Sud-est asiatico e America del Sud) che hanno cominciato una deforestazione totale dei loro territori in favore della monocoltura della palma da olio. Conseguenze? Quelli immaginabili, totale devastazione di foreste pluviali fino a quel momento incontaminate e ricchissime di biodiversità, fortune nelle mani di pochissimi, contadini sempre più poveri, sfruttamento del lavoro minorile (la raccolta viene spesso fatta dai bambini per pochi spiccioli), centinaia di specie  in via di estinzione (tra cui gli oranghi, elefanti e la tigre di Sumatra), tribù indigene sterminate e sradicate dal territorio, costante impoverimento dei terreni, crescente inquinamento dovuto alla necessità di utilizzare costantemente pesticidi e concimi chimici.

Recentemente, visto il dilagare della protesta delle associazioni ambientaliste di tutto il mondo, è uscita fuori una certificazione biologica per l’olio di palma (RSPO Roundtable for Sustainable Palm Oil), premesso che l’olio di palma non può essere biologico per tutto quanto detto sopra, questa certificazione (ennesimo pezzo di carta) è stata creata dagli stessi soggetti che hanno provocato il disastro, quindi il suo valore è prossimo allo zero. Il verdetto di condanna è inevitabile e quando affondate il cucchiaino in una crema alla nocciole che contiene olio di palma riflettete sulle tribù dei Penan e dei Dayak, abitanti delle foreste del Borneo, che ogni giorno lottano e muoiono per il proprio territorio minacciato dalla deforestazione per fare spazio alla coltivazione delle palme, oppure provate a pensare a quei contadini di alcuni paesi sudamericani che sono stati trucidati dagli squadroni della morte perché protestavano per i propri diritti calpestati, provate a pensare a tutto questo, vedrete, quella crema sembrerà molto molto più amara.

mercoledì 28 gennaio 2015

I cibi anticancro

Articolo originale al seguente link: http://www.herbs-info.com/anticancer-foods.html




Introduzione


Lo scopo di questa pagina  non è cercare di convincere che "questi alimenti curano il cancro". Però, diverse ricerche hanno evidenziato che gli alimenti elencati in questa pagina hanno qualche effetto citotossico preventivo / protettivo o diretto contro le cellule tumorali, di solito in test di laboratorio in vitro. Tuttavia, c'è ancora molto lavoro da fare per i ricercatori prima che questi effetti possano in generale essere considerati "provati" per contrastare il cancro negli esseri umani - anche se questi sono sicuramente alimenti sani e ampiamente considerati benevoli per la salute!
Lo scopo di questa pagina è semplicemente di presentare quante più informazioni possibili in materia, in modo che le persone interessate a questo argomento possano avere un punto di partenza per approfondire l'argomento. Quindi si deve vedere questa pagina come "punto di partenza" per la ricerca o le indagini. Ho citato tutti i riferimenti che ho trovato. Una dichiarazione di non responsabilità è scritta in caratteri piccoli alla fine di questa pagina, ma è opportuno ripeterlo: Questa pagina non è un consiglio medico, né è destinata a sostituire la consultazione medica professionale.
Elenco

Avocado

Gli studi hanno trovato un'azione antiproliferativa e apoptosi dell'avocado su tumore orale, della prostata e altre cellule tumorali.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed?term=avocado%20cancer

Fonte di cibo
Contenuto di antociani
(mg per 100 g)
mais viola
1.642
Aronia
1.480
Uva rossa
888
Melanzana
750
Lampone nero
589
Mirtilli selvatici
558
Lampone
365
Ciliegia
350-400
Bacca Di Acai
320
Mora (Marionbarry)
317
Ribes nero
190-270
Ribes rosso
80-420
Arancio
~ 200
Vino rosso
24-35

Gli antociani (bacche, ribes, melanzane, arancio, uva rossa, vino rosso, mais viola e altro)

Gli antociani sono molecole appartenenti alla classe dei flavonoidi, e sono pigmenti, appaiono rosse, viola o blu. Queste sostanze si trovano nei tessuti vegetali, soprattutto in frutti rossi, blu, viola o nero. 
http://en.wikipedia.org/wiki/Anthocyanin 
bacche come il mirtillo, mirtilli, mirtillo, sambuco, lampone e fragola sono ricchi di antociani e i ricercatori hanno trovato effetti anti-cancerogeni:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14972022
I lamponi neri hanno mostrato di inibire la promozione e la progressione delle cellule tumorali 
 http://en.wikipedia.org/wiki/Anthocyanin#Research
 Questi studi hanno ormai raggiunto le fasi di studio sugli esseri umani
 http: //www.ncbi.nlm.nih .gov / PubMed / 17574861 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16800781

Molta ricerca è bene fatto in questo campo - lista delle Pubblicazioni qui - http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed?term=cancer%20anthocyanins
Sopra trovate una lista di alcuni degli alimenti con il più alto contenuto di antociani: (provenienti da http://en.wikipedia.org/wiki/Anthocyanin )

lunedì 19 gennaio 2015

60 erbe con proprietà antitumorali

Articolo originale al seguente link: http://www.herbs-info.com/anticancer-herbs.html

Introduzione
L’argomento erbe antitumorali è certamente controverso, le opinioni sono fortemente polarizzate, suddivise tra quelli fortemente contrari ai trattamenti medici tradizionali e quelli fortemente contrari alla fitoterapia. Sono stati condotti numerosi studi scientifici sulle proprietà antitumorali delle piante, ma resta ancora molto da fare. Lo scopo di questa pagina è quello di presentare nel modo migliore possibile questo argomento prendendola come punto di partenza o come spunto per la ricerca e per approfondimenti. Chiaramente, questa pagina non è un consiglio medico, né è destinata a sostituire la consultazione medica professionale. Questo sito riporta notizie scientifiche di evidenza pubblica riportate sui siti o pubblicazioni di informazione medico-scientifica. 
Si tenga presente che un risultato positivo di uno studio scientifico non deve essere considerato una prova medica e tali risultati non provano che erbe, diete, supernutrienti, ecc. possano curare il cancro. L'autotrattamento è assolutamente da evitare e per qualunque informazione è necessario consultare sempre un medico qualificato.

Il termine erba antitumorale è certamente troppo forte e può dare luogo a false speranze, di certo il vocabolo non è abbastanza preciso. L’azione viene definita meglio su questo articolo (link http://www.healthy.net/scr/article.aspx?Id=1583) che definisce tre azioni principali:
Citotossico: azione contro i tumori in vitro (cioè in colture cellulari di laboratorio).
Attività Anti-tumorale: tossico per i tumori negli animali vivi.
Anti cancro: azione contro i tumori in sperimentazione umana
I meccanismi attraverso i quali le erbe possono combattere  o prevenire i tumori sono molteplici e complessi. Alcune erbe possono agire come immunomodulatori, stimolando il sistema immunitario a combattere le cellule tumorali. Altre possono avere un’azione diretta citotossica, ma questo non significa che possono essere immediatamente utilizzati perché un agente citotossico può essere tossico anche per cellule sane. Alcune piante (ad es. il cardo mariano) hanno un’azione selettiva contro le cellule tumorali e questa è, ovviamente, una qualità altamente ricercata.
Per quanto mi riguarda sarei favorevole ad una ricerca su larga scala di tipo "big data" che potrebbe più facilmente individuare correlazioni tra lo stile di vita, dieta e integrare i fattori di incidenza di cancro. Un progetto futuro per il mondo da prendere in considerazione? Ora abbiamo la tecnologia per farlo.
Qui di seguito viene riportato l’elenco di più di 60 piante per le quali sono state segnalate proprietà antitumorali. Abbiamo fatto del nostro meglio per riportare anche tutti i riferimenti bibliografici. Spero che queste informazioni siano di aiuto per chi volesse approfondire l’argomento. Sono benvenuti i suggerimenti vedere il piede della pagina per informazioni.
Un ringraziamento speciale a Dan Ablir, Kelsey Wambold e Julie Anne Ne per il loro aiuto con questa pagina.

Amsterdam: una città a misura di ape

Il declino inesorabile delle popolazioni di insetti a livello mondiale viene ormai considerato il prodromo di una vera e propria estinzione...