venerdì 21 agosto 2015

Le sorprese della portulaca


Molte volte la natura ci mette sotto gli occhi delle meraviglie che noi non consideriamo nemmeno. Molte piante con caratteristiche e proprietà eccezionali sono considerate alla stregua di erbe infestanti e vengono estirpate dal terreno e buttate. La Portulaca oleracea ad esempio, è una piantina invadente che tutti conosciamo perché i nostri giardini e orti sono spesso colonizzati da questa piccola erba prostrata con fusti e foglie carnose che continua caparbiamente a crescere nonostante la si calpesti ed estirpi continuamente. La Portulaca era conosciuta in Italia e Francia già dall'inizio del XVI secolo, visto che nel 1536 Ruellio la descriveva nei suoi scritti, ma è originaria del medio-oriente, più precisamente proviene da quella fascia che va dalla Grecia fino alla Cina. Usata a scopo alimentare in India, Africa e Medio Oriente. Una specie simile, Portulaca quadrifilia, viene utilizzata da alcune tribù del Sudafrica per le sue proprietà antiemetiche. La sua facilità nel propagarsi, unitamente alle sue scarse pretese di habitat e nutrimento, l'ha resa ubiquitaria (sopra i 1000 metri di quota però non cresce); generalmente la troviamo in pieno sole su diversi tipi di terreni, asciutti, erbosi, sabbiosi, con una preferenza per i terreni ricchi in azoto. Data la grande quantità di semi che produce sul finire dell'estate, è sufficiente un solo esemplare per avere l'anno successivo decine di piantine in un raggio di 10 metri dalla pianta madre. Per la sua consistenza carnosa la portulaca è chiamata anche Porcellana (ma anche porcacchia, erba grassa, precacchia, ecc), le foglie sono di un colore verde brillante e di forma ovale e si raccolgono in piena estate. La portulaca detiene un singolare primato, è il vegetale più ricco di omega 3, è questo basterebbe già a considerare in modo benevolo il consumo alimentare di questa pianta. Più precisamente 100 grammi di foglie di portulaca contengono all'incirca 350 mg di acido alfa-linolenico che un acido grasso facente parte del gruppo degli omega 3. Gli omega 3 aiutano a ridurre il colesterolo LDL e i trigliceridi e migliorano la circolazione sanguigna. Diciamo che consumando regolarmente la portulaca si potrebbero evitare fonti di omega 3 di origine animale (pesce). Ma le sorprese di questo simpatico vegetale spontaneo non finiscono qui, le foglie sono sono ricche di vitamina E (700 mg per 100 g di pianta fresca), hanno un buon contenuto di vitamina C, vitamina A, riboflavina, niacina e piridossina (vitamine del gruppo B). Sono, inoltre ricche di sali minerali (ferro, magnesio, calcio, potassio, fosforo, zinco, selenio, rame e manganese), fibre vegetali e mucillagine. Cosa che non guasta contiene pochissime calorie (16 kcal per 100 g). Ha forti proprietà depurative, antiossidanti (fornite dalla vitamina A), antielmintiche, dissetanti, diuretiche e, recentemente, è stata scoperta la sua capacità (grazie agli antiossidanti) di prevenire diverse forme tumorali. In passato, vista la ricchezza di vitamine veniva utilizzata nella cura dello scorbuto, ma è stata utilizzata anche in molte malattie polmonari e della pelle. Contro le gengive infiammate sono utili gli sciacqui con l'infuso o la masticazione di foglioline fresche; compresse e lavaggi per pelle arrossata e orticaria.


mercoledì 12 agosto 2015

Mosche della frutta e lombrichi


Uno degli inconvenienti (pochi) che si possono presentare durante la gestione della lombricompostiera è la presenza delle uove di mosca della frutta negli scarti vegetali che diamo come cibo ai nostri amici anellidi. La conseguenza è che dopo qualche settimana troviamo la compostiera invasa dal fastidioso volare di decine di giovani mosche della frutta. La presenza di mosche della frutta non è certo un problema per i lombrichi, le due specie non sono in concorrenza ambientale o alimentare, però è chiaro che sono una presenza fastidiosa per noi umani e l'inconveniente diventa più sgradevole se teniamo i lombrichi in casa. Fortunatamente la soluzione è abbastanza semplice ed efficace: la prima cosa da fare è ricordarsi sempre di seppellire le razioni di cibo nella compostiera; questa operazione limita sia la nascita delle mosche sia il richiamo operato dagli odori emanati della frutta sugli esemplari adulti. Ma se vogliamo eliminare alla radice il problema possiamo mettere in atto la seguente strategia: quando finiamo i pasti, tagliamo a piccoli pezzi i resti della frutta o della verdura e mettiamoli dentro un contenitore in plastica (quelli che contengono la frutta o la verdura nei supermercati), poi infiliamo il contenitore nel congelatore e lo conserviamo fino a quando non dobbiamo nutrire i lombrichi.
Le basse temperature “sterilizzano” gli scarti eliminando le uova di mosca della frutta e di altri insetti. Anche un rapido passaggio nel micro onde elimina le uova, scegliete il metodo a voi più congeniale. Usciamo dal congelatore il contenitore pieno di scarti e lasciamolo scongelare per qualche ora. Possiamo anche prelevare solo la razione per i lombrichi e rimettere il contenitore nel congelatore, oppure possiamo avere più piccoli contenitori mono dose. A questo punto possiamo mettere gli scarti nella compostiera avendo sempre cura di seppellirli all'interno della lettiera. In questo modo si elimineranno gli odori, non verranno attirati altri insetti e non ci saranno più ospiti indesiderati che svolazzano nella compostiera.

mercoledì 5 agosto 2015

Gelo di melone, come recuperare un'anguria senza sapore



L'anguria a casa mia è stata da sempre considerata un must, i miei ricordi di infanzia, pur scoloriti, si ravvivano al pensiero dell'anguria portata a casa da mio padre. La conservava con cura in frigorifero, fino al raggiungimento della temperatura ottimale e dopo il generoso pranzo domenicale avveniva il rito di apertura del frutto e nel malaugurato caso che l'anguria fosse insapore seguiva un immancabile anatema per l'avventato fruttivendolo che aveva osato buggerare mio padre. In quella funesta circostanza l'intero e succoso frutto finiva paro paro nel cassonetto dell'immondizia con profusione di contumelie nel tragitto casa-cassonetto-casa da parte di mio padre (sempre indirizzate al fruttarolo). Questi episodi sono riemersi dal mare pallido dei ricordi perché ieri ho comprato un'anguria che sembrava promettente, con la sua buccia liscia di colore verde con varie striature e chiazze più chiare; ma già all'apertura, nonostante l'interno di colore rosso acceso, mi sono reso conto che c'era qualcosa che non andava, non si sentiva il profumo solare e zuccherino della polpa della cucurbitacea, al suo posto il nulla assoluto, sembrava di plastica. Decido allora di assaggiarla e, niente, non c'era nulla da fare, il sapore era quello delle famigerate angurie di mio padre: acqua fresca, anzi non era nemmeno fresca perché l'avevamo appena comprata. A questo punto il dilemma era: prendo quattrochiliduecentocinquanta grammi di cocomero e lo getto nell'immondizia, anzi nel compost, oppure cerco qualche modo per utilizzare l'insipida polpa. Ci voleva qualcosa a base zuccherina, almeno avrebbe dato un sapore a quella pallida copia di un'anguria. Dopo brevissima riflessione ho identificato la ricetta per il recupero culinario del citrullo (beh se non lo sapete citrullus è il nome scientifico dell'anguria): il gelo di melone, ovvero la gelatina o budino di anguria, ricetta tipica della pasticceria siciliana. Le caratteristiche della ricetta riparatoria c'erano tutte: per prima cosa non era elaborata, in questi frangenti sei sempre preso alla sprovvista e serve qualcosa di semplice. Seconda cosa importantissima: nella ricetta lo zucchero viene dosato in funzione della nota zuccherina dell'anguria (in questo caso assente), per cui viene dato un range di peso di zucchero. Ovviamente, il limite inferiore era previsto per angurie inopinatamente dolci, mentre il limite superiore per quelle lisce e senza sapore. Naturalmente, in questo caso ho dovuto utilizzare il limite superiore dell'intervallo. Terza cosa, non meno importante: ERA UN DOLCE!
Una volta realizzata la ricetta mi sono reso conto che a volte non è necessario andare a scovare particolari e ricercate ricette di eco-cucina, in tanti casi la soluzione sta nella saggezza della nostra storia e della nostra gente. La cucina popolare è evidentemente una cucina antispreco, la gente non poteva certo permettersi di buttare preziose risorse e in cucina cercava di ottenere il minimo sfrido, utilizzando tutte le parti degli ingredienti e cercando di recuperare quelli che magari non erano di prima qualità come la mia anguria.
Il gelo di melone è venuto buonissimo, lo zucchero ha risvegliato l'umore dolce dell'anguria che ha ricordato di avere un profumo, ho evitato di buttare nella spazzatura quasi cinque chili di cocomero e mi sono sollazzato con un dolce straordinario della tradizione siciliana. Per tutti questi motivi questa ricetta assurge a regina per un giorno della cucina di riparazione. Ecco a voi la ricetta del gelo di anguria o gelo di melone o meglio ancora, come dicono a Palermo, gelo di mellone con due elle.

Ingredienti
  • Un litro di succo di anguria
  • 100-200 g di zucchero (in base alla dolcezza naturale del succo)
  • 90 g di amido di frumento
  • Cannella in polvere q.b.
  • Pistacchi tritati q.b.
  • Gocce di cioccolato (facoltative)
  • Zuccata a dadini (facoltativa)


Tagliare a pezzi un’anguria e passarla fino a estrarne un litro di succo. Filtrare il succo per eliminare i semi e versarlo poco per volta in una pentola, mescolandolo all’amido di frumento setacciato fino a ricavare una crema liquida.
Unire al composto lo zucchero, porre la pentola sul fornello a fiamma moderata e mescolare con cura fino a quando il gelo di anguria non si addenserà e assumerà un colorito più intenso (10-15 minuti).
Trascorso questo tempo, togliere il gelo dal fuoco e metterlo a raffreddare in un altro recipiente. Quando sarà diventato sufficientemente freddo unirvi la zuccata a dadini e le gocce di cioccolato e versare il tutto in delle coppette.
Fare raffreddare il gelo di anguria in frigorifero per il tempo necessario affinché assuma più o meno la consistenza di un budino e infine guarnire con una spolverata di cannella, qualche altra goccia di cioccolato e la granella di pistacchio prima di servire. Ci sono diverse varianti nella guarnizione in base alla zona e alla tradizioni locali, granella di mandorle, chiodi di garofano, fiori di gelsomino, l'acqua di fiori di arancio o gelsomino, granella di pistacchi e anche canditi.
Ricetta tratta da www.dolcisiciliani.net

Amsterdam: una città a misura di ape

Il declino inesorabile delle popolazioni di insetti a livello mondiale viene ormai considerato il prodromo di una vera e propria estinzione...