Il margine di un
sistema naturale rappresenta una zona di confine con un altro sistema adiacente,
per essere più chiari il margine è generalmente una fascia di transizione in
cui si sommano gli effetti e l’energia di due diversi sistemi e per questo
motivo diventa molto interessante poter usufruire dei benefici di entrambi.
Questo concetto è uno dei principi della permacultura, ma non è un’idea
originale, fa parte, invece, di un corredo culturale e sociale molto antico,
che è stato intelligentemente ripreso da chi ha poi sviluppato i metodi della
permacultura (Bill Mollison). La scala di applicazione del concetto di margine è estremamente
variabile: la linea di costa, ad esempio, è una zona di confine che separa l’area
continentale da quella marina, e inteso in questo modo un margine può essere
considerato esteso anche per migliaia di chilometri. Alla stessa maniera, però,
anche una siepe frangivento di qualche decina di metri può rappresentare una
zona di margine per il nostro appezzamento di terra, il passaggio tra un bosco
e un pascolo o anche quello tra orto e frutteto. In queste zone di bordo si
ritrovano gli elementi di due diversi sistemi, climi diversi che interagiscono,
terreni diversi, energie che si sommano e biodiversità che aumenta in modo consistente.
Le zone di margine, quindi, sono molto ricche sia dal punto di vista energetico
sia per quanto riguarda la disponibilità delle risorse, non è un caso che la
maggior parte degli insediamenti umani fin dalla preistoria sia sorto in queste
aree (pensiamo agli insediamenti costieri o a quelli ai margini di un bosco).
La possibilità di sfruttare le risorse di due ambienti diversi aumentava
notevolmente la possibilità di sopravvivenza dell’insediamento e quando per
qualche motivo l’uomo è andato a distruggere uno dei due sistemi gli esiti
finali sono stati sempre rovinosi.
C’è stato un tempo in
cui l’uomo era in armonia con la natura e questo rapporto armonioso è
testimoniato dalla storia di tanti popoli e dalle diverse eredità culturali e
tecnologiche che ci hanno lasciato e che purtroppo, nella maggior parte dei
casi, non abbiamo raccolto. Il sistema Chinampa (da un antico termine meso
americano che significa piazza fatta di canne) è un esempio magistrale
dell’impiego di questi ambienti di transizione da parte degli Aztechi. Il
passaggio tra ambiente lacustre e terraferma è ricchissimo di risorse, ma molto
difficile da lavorare e sfruttare, con questo sistema di coltivazione gli
aztechi riuscirono invece ad ottimizzare l’utilizzo di queste ricchezze.
L’impianto veniva realizzato in questo modo: si sceglieva una parte di lago
vicino alla linea di costa in modo che la profondità dell’acqua non fosse
eccessiva (1-2 metri) e si creava un recinto rettangolare tramite una fitta
palificata. A questo punto l’area isolata veniva riempita con rifiuti organici,
legname, sterro, fango, pietrame, sfalci, ecc. espellendo l’acqua attraverso
gli spazi presenti tra i tronchi dello sbarramento. La porzione organica
utilizzata per il riempimento era molto ricca in elementi nutritivi e
decomponendosi, diminuiva di volume, quindi i costruttori aztechi aggiungevano
materiale fino a raggiungere una certa stabilità del terreno. Nel frattempo le
zone più deboli o più esposte, venivano piantumate con essenze arboree
ripariali che ben si adattavano a quell’ambiente di confine e che rinforzavano
in modo efficace il bordo esterno della chinampa, in genere veniva utilizzato
il salice. La parte interna, una volta terminata la fase di riempimento, si
trovava stabilmente a qualche decina di centimetri sopra il livello dell’acqua.
La realizzazione del successivo recinto rettangolare avveniva dopo aver
lasciato nel mezzo un canale di dimensioni adeguate in modo da renderlo
percorribile da piccole canoe.