venerdì 1 luglio 2016

La Chinampa, un esempio di margine.

Il margine di un sistema naturale rappresenta una zona di confine con un altro sistema adiacente, per essere più chiari il margine è generalmente una fascia di transizione in cui si sommano gli effetti e l’energia di due diversi sistemi e per questo motivo diventa molto interessante poter usufruire dei benefici di entrambi. Questo concetto è uno dei principi della permacultura, ma non è un’idea originale, fa parte, invece, di un corredo culturale e sociale molto antico, che è stato intelligentemente ripreso da chi ha poi sviluppato i metodi della permacultura (Bill Mollison). La scala di applicazione del concetto di margine è estremamente variabile: la linea di costa, ad esempio,  è una zona di confine che separa l’area continentale da quella marina, e inteso in questo modo un margine può essere considerato esteso anche per migliaia di chilometri. Alla stessa maniera, però, anche una siepe frangivento di qualche decina di metri può rappresentare una zona di margine per il nostro appezzamento di terra, il passaggio tra un bosco e un pascolo o anche quello tra orto e frutteto. In queste zone di bordo si ritrovano gli elementi di due diversi sistemi, climi diversi che interagiscono, terreni diversi, energie che si sommano e biodiversità che aumenta in modo consistente. Le zone di margine, quindi, sono molto ricche sia dal punto di vista energetico sia per quanto riguarda la disponibilità delle risorse, non è un caso che la maggior parte degli insediamenti umani fin dalla preistoria sia sorto in queste aree (pensiamo agli insediamenti costieri o a quelli ai margini di un bosco). La possibilità di sfruttare le risorse di due ambienti diversi aumentava notevolmente la possibilità di sopravvivenza dell’insediamento e quando per qualche motivo l’uomo è andato a distruggere uno dei due sistemi gli esiti finali sono stati sempre rovinosi.
C’è stato un tempo in cui l’uomo era in armonia con la natura e questo rapporto armonioso è testimoniato dalla storia di tanti popoli e dalle diverse eredità culturali e tecnologiche che ci hanno lasciato e che purtroppo, nella maggior parte dei casi, non abbiamo raccolto. Il sistema Chinampa (da un antico termine meso americano che significa piazza fatta di canne) è un esempio magistrale dell’impiego di questi ambienti di transizione da parte degli Aztechi. Il passaggio tra ambiente lacustre e terraferma è ricchissimo di risorse, ma molto difficile da lavorare e sfruttare, con questo sistema di coltivazione gli aztechi riuscirono invece ad ottimizzare l’utilizzo di queste ricchezze. L’impianto veniva realizzato in questo modo: si sceglieva una parte di lago vicino alla linea di costa in modo che la profondità dell’acqua non fosse eccessiva (1-2 metri) e si creava un recinto rettangolare tramite una fitta palificata. A questo punto l’area isolata veniva riempita con rifiuti organici, legname, sterro, fango, pietrame, sfalci, ecc. espellendo l’acqua attraverso gli spazi presenti tra i tronchi dello sbarramento. La porzione organica utilizzata per il riempimento era molto ricca in elementi nutritivi e decomponendosi, diminuiva di volume, quindi i costruttori aztechi aggiungevano materiale fino a raggiungere una certa stabilità del terreno. Nel frattempo le zone più deboli o più esposte, venivano piantumate con essenze arboree ripariali che ben si adattavano a quell’ambiente di confine e che rinforzavano in modo efficace il bordo esterno della chinampa, in genere veniva utilizzato il salice. La parte interna, una volta terminata la fase di riempimento, si trovava stabilmente a qualche decina di centimetri sopra il livello dell’acqua. La realizzazione del successivo recinto rettangolare avveniva dopo aver lasciato nel mezzo un canale di dimensioni adeguate in modo da renderlo percorribile da piccole canoe.
I canali lasciati tra le isole artificiali avevano diverse funzioni: permettevano l’entrata e la facile cattura dei pesci e dei gamberi attirati dall’abbondanza di cibo. Evitavano ai contadini di impiegare risorse per l’irrigazione delle piante coltivate, nella chinampa l’acqua risaliva facilmente per capillarità e soddisfaceva ampiamente le esigenze di tutte le coltivazioni. La fanghiglia che si accumulava sul fondo dei canali era molto ricca di elementi nutritivi a causa della presenza delle deiezioni dei pesci e della decomposizione delle piante acquatiche, per questo motivo era periodicamente dragata e utilizzata per fertilizzare le coltivazioni presenti nella parte emersa. La concimazione veniva spesso integrata con escrementi umani provenienti dall’insediamento più vicino, in questo modo si trasformava un rifiuto potenzialmente pericoloso in una risorsa per la comunità. L’accessibilità alla chinampa era sempre garantita dal fitto reticolo di canali attraverso delle piccole imbarcazioni. I canali erano regolati da un complesso sistema di sbarramenti che servivano a limitare l’accesso dell’acqua durante le piene stagionali o a consentire agevolmente il suo ingresso nei periodi di secca.
Il sistema era perfetto, non produceva rifiuti, era molto efficiente, non aveva necessità di sistemi di irrigazione, era inoltre estremamente produttivo poiché garantiva diversi raccolti l’anno e non aveva bisogno di manutenzione. Le dimensioni della parte emersa della chinampa era solitamente di circa 30 metri di lunghezza e di 2,5 metri di larghezza, ma esiste una certa variabilità in queste misure e anche nella forma (esistono anche chinampas quadrate).
Gli aztechi hanno concepito e sviluppato questi giardini acquatici, da cui traevano gran parte del loro sostentamento, perché la maggior parte del loro territorio era in forte pendenza, i terrazzamenti, seppur ampiamente rappresentati nel territorio, necessitavano di ingenti risorse ed erano difficili da gestire mentre gli specchi d’acqua dei laghi erano perfetti per installare queste isole artificiali e provvedere facilmente alle necessità alimentari degli abitanti delle città.

Le piante coltivate in queste isole artificiali erano mais, fagioli, zucche, amaranto, pomodori e peperoncini, ma le chinampas venivano molto spesso utilizzate anche per coltivare fiori. Per renderci conto dell’estensione di questo sistema di coltivazione possiamo ricordare che all’arrivo dei conquistatori spagnoli nel 1500, erano presenti circa 9000 ettari di chinampas nel territorio atzeco. La bontà di questa tecnica costruttiva è testimoniata dal fatto che molte di queste isole artificiali sono ancora perfettamente utilizzabili dopo 900 anni, anche se allo stato attuale rappresentano più un’attrazione turistica che un sistema di coltivazione,  bisogna però dire che Bill Mollison e Geoff Lawton hanno più volte dichiarato (e dimostrato) che questi sistemi sono tra i più efficienti e produttivi al mondo e per tale motivo è in atto una vera e propria rinascita delle chinampas tra coloro che seguono i principi della permacultura e anche tra quelli che seguono semplicemente le regole del buon senso.

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