giovedì 27 giugno 2013

La crescita infelice del Brasile


© foto di Image Sport
In questi ultimi giorni sono saliti alla triste ribalta delle cronache giornalistiche i disordini spontanei, che in Brasile stanno caratterizzando il periodo dedicato alla manifestazione sportiva premondiale della confederations cup. I manifestanti recriminano sulle politiche inique del governo brasiliano che ha dedicato ingentissime risorse (11 miliardi di euro) all'organizzazione dei prossimi mondiali di calcio che si terranno nel luglio del 2014 in un paese dove mancano gran parte delle infrastrutture socio-economiche (scuole, lavoro, ospedali, ecc.) . Il problema dei brasiliani è che, a fronte di un PIL in crescita esponenziale (viaggia in doppia cifra), le condizioni delle fasce sociali più deboli sono addirittura peggiorate, portando all'esasperazione centinaia di migliaia di persone che hanno approfittato dell'esposizione mediatica, dovuta alla confederations cup, per mostrare al mondo il dolore e la disperazione per le condizioni sociali insostenibili in cui versa il martoriato popolo brasiliano. Ma perché si lamentano? Direbbero i soloni che fanno della crescita infinita l'unico dio che regola e domina le vite di noi esseri umani: se l'economia cresce vuol dire che il paese si arricchisce, e se il paese diventa più ricco anche i brasiliani lo diventeranno. Proprio questa becera equazione: +PIL=+ricchezza, rappresenta il vulnus del ragionamento, perché se è vero che gli scambi commerciali fanno indubitabilmente aumentare il prodotto interno del brasile, non corrisponde a verità la conseguenza, che sembrerebbe logica, che i brasiliani si arricchiscono o quantomeno godrebbero dei benefici di questo aumento. Infatti, l'economia brasiliana è in mano alle multinazionali ed è basata sulle esportazioni di materie prime (oro, petrolio, pietre preziose, legname, ecc.), mentre ha una debole capacità di trasformazione (in rapporto alla popolazione) che le impedisce di sviluppare attività produttive sul suo territorio che viene, invece, indiscriminatamente devastato dalle holding che sfruttano le materie prime del paese, esportando i guadagni e lasciando poco più delle briciole ai brasiliani. Tanto PIL in più, ma solo per il godimento di pochi, è questo il modello economico che domina il nostro tempo, ed è questo modello che ha acceso il fuoco della contestazione popolare di cui avvertiamo soltanto i primi sintomi nelle ribellioni sulle strade dei paesi più colpiti da questo male oscuro: la crescita infelice.

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