Nella dissennata e caotica corsa allo sviluppo a tutti i costi abbiamo perso la capacità di gestire in maniera equilibrata molte attività che l'uomo ha svolto per centinaia di anni. Tra queste, l’agricoltura è quella che forse ha risentito maggiormente del disequilibrio causato dalla trasformazione dell’economia agricola rivolta alla necessità e ai bisogni degli agricoltori e dei consumatori, ad un’economia industriale che volge tutte le attenzioni alla massimizzazione del prodotto a prescindere dalla sua qualità e dalle conseguenze che questa politica fa ricadere sulle persone e sul territorio. Fino a qualche decennio addietro l’azienda agricola era quasi a ciclo chiuso, l’immissione di energia in questi contesti era assai limitata, la fertilizzazione dei terreni era realizzata con gli stessi scarti dell’azienda, senza ricorrere ai fertilizzanti chimici che a partire dagli anni cinquanta hanno colonizzato tutte le pratiche agricole. L’immissione di elementi di sintesi nel terreno ha avuto una ricaduta assolutamente devastante sul territorio, sulla qualità del prodotto e sui consumatori. In primo luogo l’introduzione dei fertilizzanti chimici ha portato ad uno squilibrio del suolo, che nel tempo ha perso la sua capacità di produrre nuova sostanza organica; le quantità di humus prodotto dai terreni è scesa negli anni in modo vertiginoso, attualmente gran parte del territorio italiano è in una fase di desertificazione, anche molto avanzata, e questo è una delle conseguenze della perdita di sostanza organica. Il terreno viene continuamente “alimentato” artificialmente causando la perdita di vitalità dei suoli, poiché con l’integrazione chimica tutti i processi di demolizione e sintesi della sostanza organica diventano superflui e gli organismi promotori, essenziali per la salute dei terreni naturali, perdono la loro funzione. La diminuzione di queste creature ha alterato il perfetto equilibrio che si realizza in natura, dove un numero immenso di organismi realizza un ciclo biologico assai complesso e versatile. La grande biodiversità presente nei suoli degrada la sostanza organica in decomposizione e la trasforma, attraverso complessi meccanismi biochimici e fisici, in substrato fertile per lo sviluppo di nuove piante. La perdita di biodiversità, inoltre, altera le caratteristiche del terreno in quanto tutti gli elementi immessi non possono essere “lavorati” dai microorganismi, diminuendo la possibilità di essere integrati all’interno della struttura del terreno. La concimazione chimica ha avuto successo fino a quando la sostanza organica che si è accumulata in centinaia di anni di fertilizzazione naturale (letami) non si è consumata. Attualmente, la percentuale di humus media nei nostri suoli è inferiore all’1% (si veda Tabella) e, nonostante massicci impieghi di concimi chimici (un suolo fertile possiede una percentuale compresa tra il 2 e il 2,5 % di humus), la resa dei suoli non è aumentata, anzi si è osservata una diminuzione della produttività dei suoli agricoli.
Classificazione del terreno
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Contenuto in humus
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Molto poveri
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Meno dell’1%
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Poveri
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Tra 1% e 2 %
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Medi
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Tra 2% e 3 %
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Ricchi
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Più del 3%
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Classificazione dei suoli in
funzione dell'humus
Ormai, anche i più accaniti sostenitori della
chimica hanno preso atto che senza un terreno organicamente bilanciato la
concimazione di sintesi arreca danni molto consistenti sulle piante, sui
terreni, e alle falde acquifere. L’agricoltura è ormai un piccolo ingranaggio
di un processo industriale molto più grande e in quanto tale deve produrre il
più possibile, nel più breve tempo possibile e con i minori costi possibili. Il
risultato di questo scempio sono prodotti di scarsa qualità, spesso contaminati
da pesticidi, falde inquinate, agricoltori che ormai producono sottocosto e
sulla soglia della povertà.
Nelle aziende a ciclo chiuso tutti gli scarti e i
sottoprodotti (letami, scarti alimentari, scarti delle coltivazioni)
rappresentavano una risorsa di primaria importanza, la trasformazione di tutti
questi scarti attraverso una primordiale forma di compostaggio (bastava
stabulare il letame e la paglia delle stalle) li trasformava in una sostanza
stabile, con il giusto rapporto Carbonio/Azoto che distribuito nelle campagne
diventava nutrimento sia per le piante sia per i terreni. Attualmente, le
aziende zootecniche non stabulano più il bestiame su lettiere di paglia, ma
sono tenuti su grigliati di cemento che vengono lavati periodicamente con
acqua. Il risultato è che con gli escrementi non si produce più letame solido,
ma liquami che vengono stoccati in vasche a tenuta in attesa di essere
distribuiti nei campi. Questa pratica, chiamata fertirrigazione presenta
notevoli inconvenienti. Innanzitutto, i liquami non hanno il giusto rapporto
C/N che si aveva nel letame solido (escrementi ricchi di azoto miscelati a
paglia ricca di carbonio), ma si ottiene un liquido molto ricco in azoto che se
sparso nei campi senza adeguati controlli (che la normativa europea ed italiana
comunque prevedono) può provocare i seguenti inconvenienti:
1. L’alta concentrazione di nitrati, se non utilizzata completamente dalle
colture in superficie, può infiltrarsi nel sottosuolo e inquinare le acque
sotterranee.
2. L’alto contenuto di nutrienti di questi liquami può portare
all’eutrofizzazione delle acque superficiali (fiumi, laghi, torrenti, mari).
3. L’alto tenore microbico dei liquami può portare a fenomeni di
inquinamento biologico delle acque potabili.
4. Si possono verificare degli squilibri nutrizionali alle piante per la
presenza di elementi in forma altamente solubile.
5. Liquami zootecnici non stabilizzati possono portare a forti impatti
odorigeni dell’aria.
Inoltre, i liquami, pur avendo un alto contenuto energetico, non hanno
un effetto strutturante del terreno ed hanno un potere concimante acuto che si
sviluppa in tempi brevissimi appunto perché le sostanze nutritive sono presenti
in forma altamente solubile. Irrigando le coltivazioni con i liquami portiamo i
nostri suoli a una progressiva destrutturazione che ci restituirà un terreno
povero, molto compattato e sempre più bisognoso di aiuti chimici per mantenere
lo standard produttivo richiesto. Alla luce di quanto detto è necessario un
passo indietro e rivalutare metodi e tecniche usate dai nostri avi, non per
tornare al passato ma solo per ammettere che si è intrapresa la strada
sbagliata. Riprendere la sapienza del passato e rivisitarla in chiave moderna
con i mezzi che la tecnologia e la scienza moderna ci mettono a disposizione,
può essere la chiave di volta per ottenere il giusto equilibrio tra genere
umano e natura.
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